In parte senza originalità, trattandosi di eventi di carattere generale ben noti ai cultori della storia della città, in parte seguendo un interesse finalizzato verso i fatti locali di cantiere, che solo in tempi recenti si è andato concretizzando in una produzione scientifica di riferimento21, vengono illustrati di seguito i momenti salienti della memoria della città e delle sue costruzioni, rimandandone la cronologia ordinata alle tavole sinottiche22, nella convinzione che l’approfondimento e la sintesi razionale dei fatti storici principali sia base e premessa indispensabili per lo studio delle vicende costruttive cittadine e, nello specifico, per gli sviluppi propri di questa ricerca. Viene, così, di seguito, presentata l’indicazione dei fondamentali riferimenti bibliografici per lo studio dei portali dell’edilizia civile: una ricognizione su quanto fin ora prodotto porta all’inquadramento, all’interno dei possibili campi d’azione, del tema approfondito, puntualizzato dalla descrizione della consistenza dell’elemento costruttivo in città. |
21 Nonostante la storia dell’arte abbia sempre guardato con attenzione alle vicende architettoniche udinesi, in maniera privilegiata con pubblicazioni specifiche dedicate a singoli edifici (cui si farà riferimento in relazione alle vicende costruttive udinesi tra Duecento e Ottocento e alle notizie sui singoli portali), l’interesse per lo studio delle carte di cantiere per la scrittura di una storia dell’architettura a Udine è andato sviluppandosi sistematicamente a partire dai primi lavori svolti presso le sedi universitarie di Padova, Trieste e Venezia negli anni ‘60-’80, grazie soprattutto ai lavori di tesi nel campo della storia dell’arte, prima, dell’architettura, poi, fino ai recenti contributi della sede di Udine, a porre le basi per successive sintesi documentate. Notizie sgranate, ma non per questo meno utili, sono ricavabili, peraltro, dai tanti testi eruditi elaborati, a partire da fine Ottocento, per le riviste locali (Atti dell’Accademia di Scienze, Lettere ad Arti, La Panarie, Memorie Storiche Forogiuliesi, Avanti col Brun, Sot la Nape, I Quaderni della F.A.C.E, Arte in Friuli arte a Trieste ...). A fronte di un’attenzione continua alla storia della città a partire dalle prime guide del XVI secolo, che hanno accompagnato il turista colto in un petit tour cittadino nella visita dei luoghi deputati, fino alle più recenti - per i cui riferimenti si rimanda alla ampia bibliografia udinese in F. Tentori, Udine: Mille anni di sviluppo urbano, 1982 - l’occasione offerta dal millenario di Udine, nel 1983, ha dato nuovo impulso alle pubblicazioni dedicate allo sviluppo economico, culturale, sociale di Udine, con analisi critiche del materiale disponibile e spogli d’archivio originali, in virtù, anche, della presenza, presso la Biblioteca Comunale, di Annales e Acta, documenti delle istituzioni di governo cittadino che con continuità, a partire dal XIV secolo, espongono i fatti salienti della vita udinese e dei suoi rapporti con il territorio circostante. Cfr. P. C. Ioly Zorattini (a cura di), Archivium civitatis Utini. Catastico e appendice, A-Ce, 1985, L. Cargnelutti (a cura di), Archivium civitatis Utini. Catastico e appendice, Ch-Da, 1991, L. Cargnelutti (a cura di), Archivium civitatis Utini. Catastico e appendice, De-Gu, 1997. 22 Si è ritenuto di non indicare il riferimento puntuale alla fonte delle singole date trascritte, al fine di non appesantire ulteriormente i riferimenti in nota. Non essendo possibile, peraltro, né proprio all’argomento qui trattato, controllare singolarmente i documenti di riferimento, sono state considerate corrette le date tradizionalmente ripetute nei testi di storia locale. in presenza di una discordanza, soprattutto relativamente ai periodi di progettazione e realizzazione delle singole opere, si è arbitrariamente scelta la fonte ritenuta più attendibile o perché più recente o perché riferita in uno studio di dettaglio, basato su documenti non consultati in lavori a carattere più generale. |
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INQUADRAMENTO
STORICO La città di Udine vive da duemila anni al centro di vie di transito di merci e idee. Piccolo insediamento sviluppatosi intorno a un colle isolato - al centro della vasta piana alluvionale ai piedi delle propaggini orientali dell’arco alpino e da questo separato dalle colline moreniche - sicuramente abitato in età protostorica, nell’età del ferro23 e in età romana24, troppo esposto alle scorrerie barbare per uno sviluppo sostanziale nell’alto medioevo25, Udine, nominata storicamente per la prima volta nel 98326, assume il ruolo di centro cittadino e commerciale grazie alla lungimiranza del Patriarca di Aquileia Bertoldo di Andechs che, nel 1230, concede il diritto di mercato permanente, il privilegium fori27, al castrum Utini28 e, nel 1248, i diritti di città29, esentando gli uomini liberi da ogni imposta, promulgando i primi statuti del Comune e sancendo l’obbligo dei rappresentanti comunali ad intervenire nel Parlamento della Patria del Friuli30, privilegi fino ad allora riservati alle antiche e maggiori città di Aquileia e Cividale. I tempi sono ormai sicuri e la favorevole posizione geografica determina una crescita continua del primo nucleo abitato31, vigile il Patriarca, i cui territori si estendono dal Cadore alla Carniola, all’Istria, e che, dall’inizio del Trecento, risiede, anche se non stabilmente, nel Castello di Udine, circondato dalla corte civile ed ecclesiastica. “Per Udine il Trecento segna l’età del maggiore sviluppo”32. La città, al centro della via di transito del ferro proveniente dall’Austria, si arricchisce con i commerci, attraendo gli interessi dei maggiori banchieri toscani, lombardi33 e veneziani, che qui aprono le proprie sedi, in un’articolazione sempre più complessa della vita cittadina, sancita dalla formulazione degli Statuta Utini, redatti a metà secolo XIV34. Nel contempo, però, le aspre lotte con le famiglie feudali friulane, determinate nel mantenere gli antichi privilegi, e con i vicini conti di Gorizia e i da Camino, signori di Treviso, la crescente potenza della Repubblica veneta e dei regni d’Austria e Ungheria, minano irreversibilmente il potere patriarcale: dopo anni sanguinosi di scontri, nel 1420, le truppe venete, favorite dalla rivale Cividale e dall’appoggio di alcune potenti famiglie friulane, entrano vincitrici in città. Capitale di un territorio al centro di commerci e scambi culturali, Udine vede venire meno l’acquisito ruolo di protagonista per assumere una posizione defilata, condizione di cui risentirà e risente, malinconicamente, tuttora: “La politica friulana di Venezia ... congelando la situazione istituzionale, estromettendo sistematicamente i Friulani dal potere centrale, assegnando alla regione prevalentemente un ruolo di area confinaria, spingeva fatalmente il Friuli e la sua città verso l’emarginazione politica, economica e sociale”35. In realtà “Non una particolare malevolenza poneva i veneziani contro la città friulana, perché questa fu la politica costante della Serenissima verso tutte le città di terraferma: Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, la cui crescita economica fu spezzata, insieme a quella varietà culturale e imprenditoriale che è l’unico fattore indispensabile per un’autentica crescita urbana. Ovunque, invece, i veneziani distribuirono onori, decorazioni, feste, festoni, ricorrenze per accattivarsi una nobiltà sempre più formalistica e priva di ruolo: ai cui figli erano aperte solo la carriera militare e quella ecclesiastica, accanto a quella del poeta acchiappanuvole”36. Venezia garantisce alla città una dignitosa agiatezza, in una situazione di stasi, movimentata solamente dagli investimenti in terra ferma del nuovo patriziato veneto - conseguenza della vendita dei titoli nobiliari dopo la sconfitta della lunga guerra di Candia (1645-1669) - che in città e campagna eleva palazzi e ville, e da una certa vivacità culturale, pur di dimensione provinciale, a cavallo tra Seicento e Ottocento37. Parallelamente, peraltro, il ruolo di centro commerciale viene ad essere superato dal rapidissimo sviluppo della vicina e, d’ora in poi, rivale Trieste, dichiarata porto franco nel 1719, oggetto di continue attenzioni da parte della casa d’Austria, sbocco privilegiato dell’impero sull’Adriatico38. Nel 1751 la città assiste alla soppressione definitiva del Patriarcato di Aquileia con istituzione delle due Arcidiocesi di Udine e Gorizia, e si avvia in lento declino verso la caduta della Repubblica nel 1797, ad opera dell’armata francese di Napoleone Bonaparte. Nel caotico svolgimento degli eventi bellici di inizio Ottocento, Udine vede per due volte l’alternarsi di una dominazione francese a una austriaca39. In effetti, però, “Anche per l’Impero come per Venezia il Friuli fu sì una terra di confine, ma di un confine aperto ai rapporti col mondo latino e mediterraneo, una regione da valorizzare proprio per la possibilità di contatti e di commercio che offriva in un momento in cui l’economia si risvegliava sotto lo stimolo della Rivoluzione Industriale. Il nuovo sintomo della rinnovata importanza della città fu lo sviluppo della rete stradale: Udine si trovò al centro di un sistema radiale di quattro arterie, che sempre più assumevano rilievo internazionale. ... Anche la nuova ferrovia Venezia - Udine - Trieste, aperta nel 1860, contribuì a rafforzare la città”40. Nel 1866 il Friuli e Udine vengono annessi al Regno d’Italia. La città, d’ora in poi, seguirà di pari passo lo sviluppo della nazione, nell’antico ruolo ritrovato di centro di vie di transito e commerci41, dal quale, però non riuscirà a trarre il massimo del beneficio, forse ancora priva di una solida e matura identità che le consenta di guardare avanti senza guardarsi troppo intorno. |
23 Recenti scavi hanno portato alla luce, sul colle, una grande fossa contenente circa 5000 reperti, soprattutto frammenti di ceramica, databili a una fase protostorica compresa “tra il Bronzo Recente Evoluto e un momento iniziale del bronzo Finale (XIII - XI sec. a.C.)”, cfr. M. Lavarone, Il materiale protostorico del Castello, in G. Bergamini M. Buora, Il castello di Udine, 1990, pp. 14-15. Reperti più antichi, databili al Bronzo Recente, hanno fatto ipotizzare la presenza di un ‘castelliere’, comprendente il colle e un’area pianeggiante limitata al suo intorno, tra i più importanti della regione, cfr. G. Bergamini, M. Buora, Il castello di Udine, 1990, p. 12. All’età del ferro viene ricondotto il ritrovamento, pure recente, di una fossa di cottura per la produzione di ceramica, in un’area pianeggiante a sud ovest del colle, cfr. G. Bergamini, M. Buora, Il castello di Udine, 1990, p. 16. 24 Meno definita è l’estensione dell’abitato in epoca romana, causa i rimaneggiamenti subiti dai sedimi in età successive; reperti databili a partire dalla “fine del II sec. a.C. o alla prima metà del I sec. a.C. sono segnalati sul colle e nelle vicinanze”, (cfr. G. Bergamini, M. Buora, Il castello di Udine, 1990, p. 19). “La documentazione della cultura materiale sembra continuare ininterrotta sul colle fino a tutto il VI sec.. È comunque possibile che anche la storia del Castello di Udine (costruzione successiva, ubicata sul colle, che ne prende il nome, ndr.) si colleghi strettamente a quella delle nuove fortificazioni che dopo la battaglia di Adrianopoli (378) vennero costruite sul limes retico e in generale nell’arco alpino orientale”, G. Bergamini, M. Buora, Il castello di Udine, 1990, p. 22. 25 A partire dall’invasione dei Visigoti di Alarico del 401, fino alle feroci dodici incursioni degli Ungari, dal 899 al 952, in Friuli si succedettero i saccheggi e le distruzioni operate dagli Ostrogoti, dagli Unni di Attila - che nel 452 misero a ferro e fuoco Aquileia - ancora dagli Ostrogoti con Teodorico, nel 488. “... a Udine – ove con tutta probabilità si insedia un nucleo militare gotico – la nobiltà ostrogota, che si faceva seppellire lontano dal resto della popolazione, adopera per i propri defunti un’area già adibita a cimitero ancora nel periodo protostorico ... a una distanza considerevole dal colle. Da qui proviene un’antica fibula che ornava, in coppia con una scomparsa, il ricco costume di una dama della nobiltà gotica. Essa, denominata fibula di «tipo Udine», è considerata l’oggetto più antico tra quelli che si sono conservati, introdotti dai Goti in Italia”, G. Bergamini, M. Buora, Il castello di Udine, 1990, p. 25. I Longobardi di Alboino si insediarono in Friuli nel 568, posero la capitale del proprio ducato a Cividale e lì stabilirono un governo stabile (“La venuta dei Longobardi in Friuli non comporta affatto distruzione o abbandono dei precedenti insediamenti (molti dei quali erano da tempo ridotti di numero o estensione) ... La venuta dei Longobardi non sembra dunque aver interrotto le pacifiche occupazioni di coloro che abitavano sulla sommità del colle del Castello, dediti all’agricoltura e all’allevamento nonché alle semplici e tradizionali attività artigianali”, G. Bergamini, M. Buora, Il castello di Udine, 1990, p. 27-28), fino all’arrivo dei Franchi nel 776, seguito dalle invasioni degli Ungari (899-952) e dall’arrivo della dinastia dei Sassonia con l’imperatore Ottone I. 26 Il documento scritto cui tradizionalmente si fa riferimento per la definizione dell’ ‘età’ della città è una copia autentica del 1195 del diploma, in data 11 giugno 983, con cui l’imperatore del Sacro Romano Impero, Ottone II, conferma al patriarca di Aquileia, Rodoaldo, la giurisdizione su cinque castella, tre dei quali ubicati sulle prossime colline moreniche, nella pianura sottostante, tra queste Udene, a controllo della zona centro - settentrionale del Friuli, cfr. G. Di Caporiacco, Udine. Appunti per una storia, 1972, p. 39. Solo nel 1077 l’imperatore Enrico IV investirà il patriarca Sigeardo della sovranità feudale sulla contea del Friuli, secondo un’estensione del territorio che ricalcava i confini del passato ducato longobardo, a ricompensa della fedeltà dimostrata durante le lotte interne seguite ai fatti di Canossa. Cfr. G. C. Menis, Udine nel Friuli. Progetto per una storia della capitale del Friuli, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983 e G. C. Menis, Storia del Friuli dalle origini alla caduta dello stato Patriarcale, 1969, pp. 196-197. Per meglio comprendere i rapporti tra patriarcato, papato e impero, è utile ricordare che “Il patriarca veniva eletto dal capitolo di Aquileia, ma riceveva dal papa l’investitura canonica e dall’imperatore l’investitura feudale. L’investitura ecclesiastica avveniva solitamente ad Aquileia con gran fasto di cerimoniale, mentre l’investitura feudale avveniva a Cividale; il momento culminante di quest’ultima cerimonia era quando il patriarca, seduto sulla cattedra marmorea, al centro dell’abside, riceveva dall’imperatore o dal suo delegato una spada nuda che egli riponeva nel fodero”, ivi, pp. 204-205. Pur non avendo una residenza stabile, ma spostandosi tra i diversi castelli e palatia del suo territorio, il patriarca risiedeva frequentemente a Cividale, la romana Forum Iulii, sede della cancelleria e dell’archivio, cfr. ivi, p. 206. 27 “Bisogna tenere presente che allora la vendita pubblica era consentita solo nei giorni e nei luoghi di fiera e che era del tutto sconosciuta la vendita in negozi permanenti, eccettuata quella al minuto per viveri e altre cose di immediata necessità. ... Ovviamente tale istituto veniva ad innescare immediatamente nella località beneficiaria vivaci fenomeni di sviluppo non solo commerciale ed economico, ma anche, di riflesso, sociale e politico”, cfr. G. C. Menis, Udine nel Friuli. Progetto per una storia della capitale del Friuli, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, p. 32. 28 Esiste testimonianza che il colle fosse fortificato già nel 1160 da una cinta muraria (come indicato dalla descrizione di Goffredo da Viterbo, cfr. G. Di Caporiacco, Udine. Appunti per una storia, 1972, p. 40) e sede di un castello presidiato da un gastaldo, dove il patriarca soggiornava sporadicamente, gli ufficiali patriarcali ammassavano le derrate raccolte per suo conto e periodicamente l’advocatus ecclesiae aquileiensis si recava per amministrare la giustizia (cfr. G. C. Menis, Udine nel Friuli. Progetto per una storia della capitale del Friuli, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, p. 31); una cinta più estesa, a inglobare questa e la spianata occidentale sottostante, prima sede del mercato e ancora nota come Mercatovecchio, si ritiene fosse presente al momento del diploma del patriarca Bertoldo. “Il particolare favore di Bertoldo di Andechs verso la città di Udine si esprime anche con una certa predilezione per i soggiorni udinesi che hanno indotto molti storici locali a ritenere che con questo patriarca la città divenga capitale del Friuli, concetto molto lontano da quei tempi. È certo tuttavia che in Udine stessa, e probabilmente nel Castello, viene ospitato nel 1232 il sacro romano Imperatore Federico II che si ferma in città col suo seguito, di cui fa parte il figlio Enrico”, G. Bergamini, M. Buora, Il castello di Udine, 1990, p. 41. 29 Cfr. G. C. Menis, Udine nel Friuli. Progetto per una storia della capitale del Friuli, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983 p. 32. 30 “Il Parlamento, vero e proprio «corpo rappresentativo e deliberativo» della Patria del Friuli, fece la sua comparsa nella seconda metà del secolo XIII ... Il Parlamento in età patriarcale era composto da tre ordini: i prelati (12 membri), i feudali, liberi e ministeriali (45 membri) e le comunità (13 membri). ... la sua convocazione era discrezionale. Essa spettava al patriarca o ai suoi delegati, ma sempre dietro sua istanza, e avveniva nei luoghi dove questi lo ritenesse opportuno. Con l’inizio del trecento, accanto alle tradizionali funzioni giurisdizionali ... venne progressivamente acquistando funzioni legislative e interstatuali aumentando i propri controlli sull’amministrazione pubblica, fino ad assumere, durante la vacanza della sede patriarcale, un potere illimitato operando attivamente «alla nomina dei titolari di importanti uffici»”, P. C. Ioly Zorattini, Udine Capitale della «Patria del Friuli». Note sulle istituzioni udinesi durante la dominazione veneziana, in G. C.Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, pp. 99-100; per approfondimenti il contributo citato rimanda, tra altri, a P. S. Leicht, Il Parlamento della patria del Friuli, sua origine, costituzione e legislazione (1231-1420), 1903 (rist. anast. 1975). La nobiltà “ministeriale” era detta tale perché tenuta a particolari servigi al patriarca, in contrapposizione a quella “libera” o “imperiale”, per lo più di origine germanica, che rispondeva direttamente all’imperatore. 31 Seguiranno, fino alla fine del Trecento tre ulteriori ampliamenti della cinta muraria (cfr. nota 28) a testimonianza del periodo di floridezza della città L’ultima cerchia, iniziata nel 1330 e terminata nel 1440, con un perimetro di circa 7 chilometri, definirà l’estensione urbana fino a fine Ottocento, per poi cedere il passo, con la sua demolizione, tra il 1866 e il 1880, alla circonvallazione urbana. Sono oggi visibili solo alcune torri appartenute alla terza cerchia (porta Manin, porta di Santa Maria, Porta Villalta) e alla quinta (porta Aquileia). 32 G. C. Menis, Udine nel Friuli. Progetto per una storia della capitale del Friuli, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, p. 33. 33 La presenza dei Lombardi in città è da collegarsi alla elezione di Raimondo della Torre, Vescovo di Como, al soglio di patriarca di Aquileia nel 1273 e all’opera dei patriarchi appartenenti allo stesso casato che rivestirono tale carica nei decenni successivi (Gastone: 1317-1318, Pagano: 1318-1332, Lodovico: 1359-1365). Originari della Valsassina, cacciati da Milano dai Visconti, i della Torre, o Torriani, si trasferirono in Friuli portando con sé non solamente i propri sostenitori, cui affidarono incarichi politici e militari, ma anche maestranze specializzate, in particolare “alcuni artigiani particolarmente abili nel lavorare la pietra, vennero a Udine dalle zone del comasco e del luganese” (in G. Di Caporiacco, Udine. Appunti per una storia, 1972, p. 57) dando inizio alla gloriosa storia dei lapicidi lombardi in Friuli: “il fenomeno non avrebbe avuto esplicazione così vasta senza i rapporti che intercorsero fra la Lombardia e il Patriarcato di Aquileia; basti pensare che la diocesi di Como era suffraganea e dipendeva ecclesiasticamente da Aquileia ... Raimondo della Torre ... il 4 agosto 1274, con fastoso seguito di cavalieri e milizie lombarde, fece ingresso nella città di Udine. Da qui l’incremento dell’immigrazione dei Lombardi: essi furono investiti di feudi, di capitanati, di gastaldie ... si sparsero ovunque, si accasarono stabilmente ... Si enumerano più di centoventi famiglie friulane che trassero origine dalla Lombardia e che si imparentarono con le più illustri famiglie friulane”, in. C. Someda de Marco, Architetti e lapicidi in Friuli, 1959, p. 309. 34 G. C. Menis, Udine nel Friuli. Progetto per una storia della capitale del Friuli, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, p. 33, con riferimento a: E. Carusi, P. Sella, Statuti di Udine del sec. XIV, 1930. Della consuetudine delle genti toscane con il Friuli è data traccia in una delle novelle del Decamerone del Boccaccio, ambientata a Udine (novella quinta della decima giornata: Madama Dianora domanda a messer Ansaldo un giardino di gennaio bello come di maggio). 35 G. C. Menis, Udine nel Friuli. Progetto per una storia della capitale del Friuli, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, p. 35 e, ancora, con riferimento al XVII secolo: “mai ... Udine aveva contato così poco. Sussistono ancora tutti gli elementi esteriori della antica capitale: le mura, la residenza di un’autorità centrale (il luogotenente, il Parlamento), il pluralismo delle attività cittadine, l’orgoglio municipale. Ma essi sono ormai progressivamente svuotati dall’interno: le mura sono deboli e cadenti («antiche muraglie senza terrapieni, benché con fosse, non ben regolate»: le definisce il luogotenente Giovanni I Morosini nel 1628); il luogotenente non è che un funzionario titolare di una rettoria di terra ferma di seconda classe e il territorio a lui soggetto è diviso con altre giurisdizioni concorrenti (tutto il Friuli orientale è in mano all’Austria, Cividale, Palmanova, Marano sono soggetti all’amministrazione diretta dei provveditori); il Parlamento è praticamente esautorato; le attività economiche sono rigorosamente controllate da Venezia”, G. C. Menis, Udine nel Friuli. Progetto per una storia della capitale del Friuli, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, p. 35. Nel 1593, peraltro, dopo annosi ripensamenti, Venezia decide di privare la città del suo ruolo di difesa al centro della pianura, trasferendolo alla fortezza di Palmanova, che in quell’anno vede la sua fondazione. Città stellata, ubicata in posizione meridionale rispetto alla così detta “Metropoli del Friuli”, Palmanova ben risponde con la forma della sua pianta, la realizzazione di spalti, fossati, opere di difesa, alle nuove esigenze dell’artiglieria del momento, baluardi di difesa dalle incursioni turchesche. Nonostante il dispendio di forze e denaro per la sua realizzazione, Palmanova non vedrà mai azioni di guerra sui suoi spalti e aprirà semplicemente le porte all’arrivo di Napoleone Bonaparte. Per lo sviluppo della fortezza, cfr. P. Marchesi, Progetti per la sua costruzione: lavori di completamento, di modifica, di restauro, in G. Pavan (a cura di), Palmanova fortezza d’Europa 1593-1993, 1993, pp. 73-83. 36 Cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 8. 37 Nel 1606 viene fondata l’Accademia degli Sventati, nel 1662 la Società di agricoltura pratica, nel 1679 viene aperta la scuola dei Padri Barnabiti. 38 Da piccolo porto secondario, con l’atto del 1719 firmato da Carlo VI, che ne fa, con Fiume, uno dei porti franchi dell’Impero Asburgico, Trieste vede uno sviluppo repentino, consolidato dagli interventi favorevoli di Maria Teresa d’Austria, cui solo gli esiti delle due guerre mondiali riusciranno a porre fine, cfr. F. Caputo, R. Masiero, Trieste e l’Impero. La formazione di una città europea, 1988, testo che illustra in modo affascinante la nascita e lo sviluppo della città mercantile attraverso le vicende dei suoi protagonisti. 39 Dal 1797 al 1801: primo governo francese; dal 1801 al 1805: primo governo austriaco; dal 1805 al 1813: secondo governo francese; dal 1813 al 1866: secondo governo austriaco. 40 G. Barbina, La centralità di Udine nel sistema insediavo friulano. Analisi di un processo, in G.C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, pp. 45-46. 41 "L’amministrazione del Regno d’Italia … comprese bene il senso e il valore geografico di questo territorio, che dalla pianura padano-veneta apriva i contatti verso uno stato col quale il contenzioso confine non era ancora chiuso ... Fondamentale, in questa nuova politica territoriale, fu la costruzione della linea ferroviaria Udine - Pontebba, aperta in esercizio nel 1879: questa via di comunicazione fece di Udine il nodo ferroviario più importante dell’Italia nord - orientale, tappa obbligata per i convogli che collegavano l’Impero Austro - Ungarico con l’Italia”. G. Barbina, La centralità di Udine nel sistema insediavo friulano. Analisi di un processo, in G. C.Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, p. 46. In realtà la linea ferroviaria risultava già tracciata al tempo della dominazione austriaca. La relativamente lunga permanenza degli Austriaci nella regione aveva fatto sì che nei corpi di progettazione e realizzazione potessero essere inseriti tecnici locali, secondo un principio di integrazione delle diverse culture amministrate che ha caratterizzato la politica dell’Impero Austro - Ungarico. Nel caso specifico, grande fama raggiunse nel campo delle costruzioni ferroviarie Ermenegildo Francesconi, cfr. G. Albenga, Francesconi Ermenegildo, 1949, p. 865. Della conoscenza di questa figura e delle sue interessanti vicende sono debitrice al professor Marco Pozzetto. |
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LE VICENDE
COSTRUTTIVE UDINESI TRA DUECENTO E OTTOCENTO Da borgo fortificato a centro commerciale, Udine vede il suo sviluppo urbano42 tra il Duecento e l’inizio del Quattrocento. “La storia urbana di Udine comincia veramente nel 1222, quando, in seguito a un terremoto che dissestò il Palazzo Patriarcale di Cividale, il Patriarca Bertoldo degli Andechs di Merania trasferì nel castello sul colle e almeno temporaneamente la propria sede”43. L’abitato si espande attorno al colle del Castello, essenzialmente secondo il semplice impianto a lotti lunghi e stretti, il cui passo sul fronte strada è scandito oggigiorno da quello dei porticati che coronano le vie principali del centro cittadino44, allora interrotto dalla presenza di passaggi angusti, gli ‘androni’45, in tempi successivi edificati, a formare lunghe cortine viarie continue. Il tessuto edilizio attorno al colle è denso, eccezione fatta per alcune aree libere, tra le quali la grande area del Mercato Vecchio46 e la vicina piazza del Mercato Nuovo, a ovest del colle de Castello. Le successive espansioni della cinta urbana47 vanno man mano occupando, anche secondo isolati di maggiori dimensioni, gli spazi acquisiti alla città con abitazioni, annessi, orti, a contenere la popolazione in continua crescita, e a inglobare alcuni prossimi abitati, inizialmente extra-moenia48. Fondamentali per lo sviluppo dell’insediamento e delle attività produttive, sono i due canali irrigui, le ‘rogge’, che, deviate dal vicino torrente Torre - circa 15 chilometri ad est dell’abitato - adducono in città l’acqua utilizzata da filande, tintorie, concerie, botteghe di battiferro, mulini49. Se l’edilizia civile è interessata da interventi di modesta entità - case-botteghe a due piani con copertura in paglia50 - opere importanti si hanno, invece, in campo religioso con la costruzione del Duomo, del Battistero51 e la fondazione dei primi conventi, con annessi luoghi di culto e di assistenza52. Centri politici sono il Castello, sede del governo patriarcale, sovrastante il borgo fortificato, e la prima loggia comunale53, a definire un ruolo sempre più cittadino dell’abitato. Funzione importante nella “solida strutturazione della città”54 hanno, inoltre, le attività delle confraternite, inizialmente costituite da gruppi distinti per etnia (Slavi, Tedeschi, ...) e professione (calzolai, lanaioli, fabbri, ...), poi per la dedizione a un santo protettore, nuclei solidali di mutua assistenza il cui operato contribuisce nei secoli alla storia della città, con propria attiva presenza negli organi di rappresentanza55. Con l’arrivo di Venezia, nel 1420, la cittadina commerciale56 si trasforma gradualmente per assolvere il ruolo di Metropoli del Friuli: al periodo compreso tra la seconda metà del Quattrocento e la seconda metà del Cinquecento datano, infatti, la definizione formale delle piazze principali e la realizzazione di importanti edifici della città, che a tutt’oggi ne definiscono la fisionomia, secondo nuovi schemi importati dalla Dominante57, mercé la presenza in città di architetti e artisti di fama. La piazza Contarena58 - continuazione della grande area di Mercato Vecchio, alle pendici sud occidentali del colle del Castello e a questo collegata dalla loggia del Lippomanno (1487)59 - viene a essere delimitata, con successivi interventi di livellamento e demolizioni, dalla Loggia Comunale (1448-1456)60 e dal vicino severo Palazzo Comunale attribuito al Sansovino61 (1550 circa), dal prospiciente porticato di San Giovanni (1533)62 e dalla Torre dell’Orologio (1527) di Giovanni da Udine63. Sovrasta il conquistato spazio di rappresentanza della città il Castello, che, distrutto dal terremoto del 1511, viene ricostruito nelle forme di un grande isolato palazzo (1517-1560)64, sede del Luogotenente veneto, il cui accesso dalla piazza è segnato dall’imponente Arco Bollani (1563), del Palladio65. Il nuovo campanile della chiesa del Castello (1515-1540) si affaccia dal colle, facendo da contrappunto al campanile del Duomo, realizzato (1441-1450) sul volume dell’antico Battistero trecentesco66. Alle spalle di Mercato Vecchio, a ovest del colle, la piazza del Mercato Nuovo viene ad assumere la forma regolare di quadrato (1528), completata dalla fontana (1532), opera di Giovani da Udine, e dalla nuova facciata della chiesa di San Giacomo (1525-1533)67, le cui funzioni sono officiate da un “pettegolo” balcone68 per non interrompere le contrattazioni. Parallelamente si dà inizio ai primi lavori della nuova sede patriarcale (1524): estromesso dal Castello l’ultimo, di fatto, Patriarca di Aquileia, Ludovico II di Teck, si rende necessaria una sede per attendere agli interessi della Curia69, alla cui guida verrà eletto, da quel momento e fino alla soppressione del Patriarcato del 1751, un prelato di nobiltà veneta, indicato dal Papa in accordo con Venezia70. Ordinanze successive obbligano il miglioramento del decoro cittadino71, mentre la realizzazione dei palazzi è favorita dall’aggregazione di piccole proprietà e dall’utilizzo dei terreni incolti72. Sulle fondamenta delle case tardo-medioevali, inglobando facciate e ‘androne’73, si elevano il palazzo del Monte di Pietà, tra Mercato Vecchio e Mercato Nuovo74 e altri palazzi della nobiltà cittadina, come quello di Floriano Antonini (1556), su disegno di Andrea Palladio75. Nel frattempo la città - il cui vero volto si sta svelando solo da pochi anni con la messa in luce di coloratissimi lacerti di affreschi di facciata, per lo più databili al XV secolo, di cui si era nel tempo persa la memoria, e di curati elementi architettonici in pietra a definire “quella Udine gotico-veneziana che più non sussiste e non si vede”76 - procede nel suo sviluppo all’interno di un’area inglobata nella conclusa ultima cerchia muraria (1440), a comprendere i borghi Gemona, San Lazzaro, Villalta, Santa Maria, Cussignacco Aquileia, Ronchi, Bertaldia, Treppo, Pracchiuso, abitati sparsi intorno al colle, allungati sulle vie di collegamento con i paesi del circondario77 e che di questi assumono un aspetto rurale, tuttora in parte mantenuto78. Definiti gli elementi di riferimento della città, le vicende costruttive pubbliche vedono un sostanziale arresto tra la seconda metà del Cinquecento e la seconda metà del Seicento. Venezia, impegnata nella edificazione della città militare di Palmanova (dal 1593)79, nella guerra di Gradisca, persa conto l’Impero d’Austria (1615-1619), nella lunga e rovinosa guerra di Candia (1645-1669), nel fronteggiare le ripetute epidemie di peste (1575-1576: la ‘slesiana’, 1599, 1629-1631) e la grave carestia di inizio Seicento (1629), sembra indirizzare altrove sforzi e investimenti. Per quanto attiene gli edifici pubblici fanno eccezione l’intervento su parte dei prospetti della Loggia Comunale (1642)80, la fine degli lavori seicenteschi del Palazzo Patriarcale (1610)81 e di quelli del Monte di Pietà, terminato (1680) secondo il progetto finale dell’architetto veneziano Giuseppe Benoni82. I privati, invece, mostrano di poter affrontare il costo del rinnovamento degli immobili, lasciando alla città molti dei palazzi tuttora presenti83, curandone la decorazione delle sale di rappresentanza84, impegnandosi nella costruzione del primo teatro della città85, in un quadro di riferimento che vede, parallelamente, a Venezia la realizzazione di chiese e palazzi nobiliari ad opera di Baldassarre Longhena86. Il tutto, atteso che lo studio delle architetture udinesi del periodo risulta ancora oggi non ben definito, se non nelle sue linee essenziali87 e che la formulazione di una sintesi consistente dei fatti è necessariamente opinabile. Interessante sarebbe capire il ruolo che i proti della fortezza di Palmanova, ragionevolmente residenti in città88, e le maestranze ivi impegnate ebbero nella realizzazione delle architetture cittadine del periodo, così severe e fortemente legate al classicismo veneziano, rigorose e composte, così vicine all’architettura militare della città - fortezza e lontane dalle esuberanti manifestazioni manieriste e barocche italiane e d’oltralpe. Nel Settecento, per opera degli architetti veneziani Domenico Rossi e Antonio Massari, e grazie agli investimenti delle importanti famiglie dei Manin e dei Dolfin, si assiste a un secondo rinnovamento urbano che interessa l’edilizia religiosa e civile. Il secolo si apre con i lavori nel presbiterio e nel coro del Duomo (1714-1735), voluti dalla famiglia Manin89 per la trasformazione dello spazio gotico “nella fastosa cappella gentilizia”90 della casata, secondo “un programma decorativo di loro gradimento”91. Redige il progetto Domenico Rossi, protagonista delle vicende costruttive friulane dell’inizio secolo92, cui è, tra altre93, attribuito il parallelo ampliamento del Palazzo Patriarcale (1708-1725), per incarico del Patriarca Dionisio Dolfin94. A seguire, sempre su incarico di Dionisio Dolfin, accanto al Palazzo Patriarcale, Giorgio Massari95 progetta la nuova facciata della chiesa di S. Antonio (1732ca.-1735)96. “A concludere il processo di “rinnovamento” della cittadella religiosa iniziato da Dionisio Dolfin”97 viene poi ricostruito il Seminario Arcivescovile (1772-1783)98. Presso il Duomo, il primo teatro della città lascia il posto all’oratorio della Purità (1758)99, affrescato dal Tiepolo, così come lo scalone d’onore e alcune stanze del rinnovato Palazzo Patriarcale. A fine secolo prende avvio la costruzione del nuovo Ospedale (1782). Più confusi sono i riferimenti all’edilizia privata: infatti, sebbene molti palazzi vengano rinnovati100, è vago, se non del tutto assente, il riferimento ai progettisti, tanto da ipotizzare l’intervento degli stessi capomastri - educati alla scuola dei maestri di cui vanno realizzando le fabbriche - o dei proprietari101, che, nella progettazione delle proprie dimore, applicano gli insegnamenti vitruviani appresi nei cenacoli culturali cittadini102. La caduta della Repubblica di Venezia porta in città mutamenti capillari, del resto impensabili: l’opera della Delegazione dell’Ornato - istituita nel 1807- intesa al “miglioramento simmetrico de’ fabbricati fronteggianti le strade, e per l’allargamento o rettifilo delle strade stesse”103 riesce in pochi decenni a cambiarne il volto. Le carte d’archivio mostrano chiaramente, infatti, come la città veneto-gotica delle costruzioni minori, fino a quel momento conservatasi accanto ai palazzi nobiliari sei e settecenteschi - in un clima di sostanziale tolleranza - sparisca per effetto de “l’allineamento dei fori, la riduzione delle aperture da ovali a rettangolari”104, delle prescrizioni di “stabilitura [intonacatura]” e “biancheggiamento” dei prospetti105. Pochi, invece, sono i singoli episodi edilizi importanti nella cerchia urbana e tra questi di maggior rilievo: la conclusione dei lavori del Nuovo Ospedale (1847-1850)106, la costruzione del palazzo Antivari-Kechler, celebrato edificio neoclassico, opera di Giuseppe Jappelli (1833-1836)107, la riedificazione delle scuole pubbliche108, la realizzazione delle facciate neoclassiche della Chiesa della Madonna delle Grazie, in ‘Giardino’, e della Chiesa del Redentore, in Borgo San Lazzaro109. Simbolicamente il rogo accidentale della Loggia del Lionello (1876) chiude l’epoca degli edifici di antico impianto. La ricostruzione della Loggia ad opera dell’architetto Andrea Scala110, con l’impiego di materiali di provenienza lontana (la pietra di Verona, l’abete americano) e la lode dell’artigianato artistico udinese111, va a segnare la fine di quel tempo in cui i materiali venivano portati in città dalle vicine montagne112 e il tagljiapiera, il murero, il vetraro113 erano maestranze di riconosciuta, ma comune, capacità. La città si avvia verso vicende costruttive cittadine non più storia, ma cronaca. dettagli: palazzo Bartolini, piazzetta Marconi 8, Udine |
42 Come premesso (cfr. 21), le iniziative editoriali per la celebrazione dei mille anni di storia scritta della città, nel 1983, hanno portato a compimento studi dettagliati nelle diverse discipline dell’arte, dell’architettura, dell’urbanistica, dell’economia, sulla base di una sintesi critica dei precedenti lavori di riferimento (p.e. A. Lavagnolo, Pianta della Regia Città di Udine, 1842; G. D. Ciconi, Udine e la sua Provincia, 1861, G. Occioni-Bonaffons (a cura di), Illustrazione del Comune di Udine, in Guida del Friuli, 1886; E. Scarin, Udine - Ricerche di geografia urbana, Bologna, 1941; A. Rizzi, Udine - Breve guida storico-artistica, 1958) e dell’analisi di nuovi documenti rintracciati nei fondi degli Archivi di Stato di Udine e Venezia, dell’Archivio Arcivescovile di Udine, della Biblioteca Comunale. Di fondamentale importanza per la comprensione delle modificazioni urbane è lo studio di Francesco Tentori: F. Tentori, Udine: Mille anni di sviluppo urbano, 1982, successivamente integrato e sintetizzato in F. Tentori, Udine, 1988, mentre un inquadramento generale dell’architettura nel campo delle arti è fornito da Decio Gioseffi in: D. Gioseffi, Udine: le Arti, 1982, contributo importante di uno studioso lontano dai localismi cittadini che dipana la ingarbugliata matassa dei riferimenti con lucida criticità. Di imprevedibile impulso per gli studi di dettaglio del costruito cittadino è stata la pubblicazione, a cura di Vittoria Masutti, del manoscritto di Giovanni Battista della Porta (V. Masutti (a cura di), Giovanni Battista della Porta, Memorie sulle antiche case di Udine, 1983-1988) contenente, per i singoli edifici della città storica, riferimenti puntuali ad atti notarili, atti pubblici, documenti privati, frutto di un lavoro di spoglio negli archivi cittadini lungo una vita. Redatto in parallelo e con un reciproco scambio di notizie, come indicato nei testi introduttivi dei due lavori, è il volume: E. Bartolini et al., Raccontare Udine. Vicende di case e palazzi, 1983, che, sintetizzando e integrando le notizie tratte dai sopracitati documenti, illustra le vicende storiche e artistiche dei palazzi della città, con un utile corredo di immagini e fotografie di interni ed esterni. Approfondimenti per singoli periodi sono presenti nei lavori di Donata Battilotti (cfr. D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, 1996) e Raffaella Picco (cfr. R. Picco, Per una storia del cantiere nel Settecento: l’attività di Giorgio Massari a Udine, 1993) per il Settecento, di Alessandra Biasi, Gabriella Bucco, Gianna Malisani e Eugenio Vassallo (cfr. A. Biasi, G. Malisani, L’eredità neoclassica a Udine, 1986; A. Biasi, E. Vassallo (a cura di), L’eredità napoleonica a Udine. Una nuova immagine per la città, 1995, G. Bucco, Il Neoclassicismo udinese e l’opera architettonica di Valentino Presani, 1975) per l’Ottocento, nonché le numerose monografie su singoli edifici cittadini, cui si farà di volta in volta preciso riferimento. Notizie e aneddoti sono da ricercarsi, invece, in G. De Piero, I borghi e le piazze dell’antica città murata di Udine nella storia e nella cronaca, 1983; altre notizie in Italia Nostra, Sezione di Udine, Gruppo Scuole (a cura di), Udine 1000 anni. Itinerari per leggere la città, 1983. Notizie puntuali su singole fabbriche sono, inoltre, da ricercarsi nei recenti lavori di tesi di laurea svolte nell’Università degli Studi di Udine, ivi consultabili. 43 D. Gioseffi, Udine: le Arti, Udine, 1982, p. 26. 44 Con riferimento alla partizione di facciata delle costruzioni prospicienti la piazza del Mercato Nuovo, o piazza San Giacomo: “i tre lati interamente commerciali di esso, presentano lotti per i quali si può ricostruire una dimensione originaria – in fronte – di 6 (o 3+3) e di 4 metri (tradotto in passi medioevali: 3 passi e mezzo, oppure 2 passi e mezzo).”, cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 79. Non avendo trovato, notizie, seppur attentamente cercate, sull’uso del “passo medioevale”, l’unico riferimento possibile è quello al passo udinese di fabbrica, utilizzato in periodo veneziano e fino a metà Ottocento, pari a cm 170.24 (cfr., p.e., [s.n.], Tavole di ragguaglio ragionate dei pesi metrici austriaci e veneti e delle misure lineari superficiali e di capacità di G. D. M. Pubblico Perito, 1843), il cui valore non si discosta molto da quello indicato dall’autore. Sulla questione delle unità di misura si ritornerà in dettaglio nel capitolo relativo al progetto dei portali. 45 Gli ‘androni’ avevano palesemente la doppia funzione di passaggio attraverso i blocchi edificati e di barriera al propagarsi del fuoco. Cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 70. 46 “Mercatovecchio è uno degli spazi più belli e armoniosi dell’intera cultura medievale di matrice tedesca”, cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 71, giudizio ripreso da G. Bergamini, Il palazzo del Monte di Pietà di Udine, 1996, p. 17. 47 Cfr. 28 e 31. La terza espansione della cinta muraria andrà ad inglobare, oltre che terreni liberi, anche i due borghi extra-urbani di Grazzano e Poscolle, posti a sud-ovest del colle del Castello. 48 Partendo da una popolazione stimata per il 1223 di 800- 900 abitanti, per il 1299 di 5000 abitanti e per il 1350 di 6000 abitanti (cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 58), si arriva nel 1483 a una popolazione di 15.000 abitanti, dalla descrizione di Marin Sanudo, in M. Sanudo, Itinerario di M.S. per la terraferma veneziana nell’anno MCCCCLXXXIII, ed. 1847, p. 133 (cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 33). 49 Mentre del primo canale si ha notizia, in un documento a firma del patriarca Volrico (Ulrico) II di Treffen, fin dal 1171, non è ancora la storia del secondo, la cui realizzazione è tradizionalmente associata al nome del patriarca Raimondo della Torre (1273-1299). Per la storia del complesso rapporto della città con le sue acque cfr. A. De Cillia, E. Mirmina, Udine e il Torre: un rapporto vitale, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, pp. 51-73 e I. Zenarola Pastore et al., Storia di acque. Le rogge di Udine, patrimonio nascosto, 1993, M. Martinis, Le rogge di Udine e Palma : storia, economia, ambiente e tradizioni degli antichi canali estratti dal Torre, 2002, ma anche F. Tentori, Udine, 1988, p. 20-21, in cui viene messa in dubbio l’attribuzione, confutata la teoria delle rogge come canali da sempre artificiali e formulata l’ipotesi di un loro corso inizialmente naturale regolarizzato successivamente regolarizzato per mano dell’uomo. Non ancora approfondito, a conoscenza di chi scrive, è il possibile rapporto tra l’opera, di realizzazione o semplice rettificazione, del lombardo Raimondo della Torre e i lavori di regimazione delle acque in quel territorio: con il patriarca arrivano in Friuli sicuramente artigiani e commercianti, forse anche maestranze esperte nella captazione e nel governo delle acque. 50 Più ordinanze raccolte negli Annales della città proibiranno, a partire dal XV secolo, l’uso di tetti in paglia, causa il pericolo costante di incendi; cfr. Annales, Tomo XXVI (1437, 20 Aprile, fol.: 352, 1438, 13 Novembre, fol.: 352), Tomo XXVII (1441, 24 Genaro, fol.:109), Tomo XXVIII (1443, 28 Novembre, fol.: 21), Tomo XLV (1524, 25 Agosto, fol.: 12). 51 La fondazione del Duomo, la allora Chiesa di Sant'Odorico, nel 1236 è legata al nome di Bertoldo degli Andechs, quella del Battistero, nel 1350, a quello di Bertrando di San Genesio (1334-1350). Il terremoto del 1348 danneggerà seriamente il Duomo, portando a successivi interventi di ripristino e ammodernamento, tanto da far dire a Decio Gioseffi che “l’episodio emblematico della storia della comunità udinese, del «mal della pietra» cioè da cui fu contagiata nel secolo [XIV] della vertiginosa espansione, è sicuramente rappresentato dalla vicenda del Duomo e nella successiva «incrociata» dei momenti progettuali e delle fasi esecutive”, cfr, D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 30. Per Udine fu, inoltre, l’occasione per ospitare per la realizzazione di parte delle sue nuove decorazioni Vitale da Bologna, in fuga dalla peste. Chiamato, con tutta probabilità, dal Patriarca Bertrando di San Genesio, Vitale da Bologna affresca in Duomo la cappella di San Niccolò dei fabbri, lasciando alla città un importante momento della pittura trecentesca italiana. Cfr. A. Rizzi, Udine e la pittura del Trecento: un polo di irradiazione mitteleuropea, in G. C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983, pp. 273-293. 52 Lo sviluppo urbano è associato all’arrivo di ordini mendicanti, pur se ostacolati dal patriarca per effetto della Bolla Aurea emanata a Udine dall’imperatore Federico II nel 1232, a sancire il divieto di insediamenti che tendono a sottrarsi alle antiche giurisdizioni feudali, quali castelli, città, mercati e i conventi. Cfr. F. Tentori, Udine, 1988., p. 35. La fondazione dei primi conventi dento le mura cittadine è databile agli anni: 1266 – Francescani minori conventuali; 1285 - Domenicani di San Pietro Martire; 1294 – Clarisse di Santa Chiara; 1341 – Agostiniane di San Nicolò; 1349 – Celestini di San Girolamo 1354 - Antoniani di Sant’Antonio di Vienna (Francia); 1381 – Agostiniani eremitani di Santa Lucia, cfr. L. Cargnelutti, Lo sviluppo delle comunità religiose nella città. Dalle origini all’età napoleonica, in G. Bergamini et al., Monasteri, conventi, case religiose nella vita e nello sviluppo della città di Udine, 2001, pp. 97-117. 53 L’ubicazione dell’antica loggia pare individuata dal recente ritrovamento di parte del ciclo di affreschi, con tema episodi della guerra di Troia, che la decorava, al piano terreno di un fabbricato sul lato meridionale delle pendici del colle del Castello. Del ciclo di affreschi si era, comunque, conservata memoria cfr. E. Cozzi (a cura di), La “storia di Troia” dell'antica loggia di Udine: presentazione del restauro degli affreschi recuperati, 1997. 54 Cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 37 e L. Cargnelutti, I borghi e la città : organizzazioni vicinali e associative in Udine : secoli XIV-XVIII, 1992. 55 Cfr. D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 28. Per le indicazioni sul Parlamento della Patria del Friuli cfr. nota 30. 56 Udine è sede non solo di un mercato permanente, concesso, come già ricordato, nel 1230 dal patriarca Bertoldo degli Andechs di Merania, ma anche di diverse fiere con cadenza annuale, concomitanti festeggiamenti religiosi, allestiti nel grande spazio aperto a nord est del colle, il Giardino, intorno al grande specchio d’acqua, alimentato da una roggia, ivi presente da tempi non definiti: la fiera di San Canciano (dal 1331), la fiera di Sant’Antonio (dal 1433), la fiera di Santa Lucia e di Santa Caterina (dal 1486), quest’ultima lì trasferita dai prati del torrente Cormor, a ovest della città, dove si svolgeva dal 1380, la fiera di San Lazzaro (dal 1584), unita a quella di San Canciano (cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 125). Dell’esteso stagno presente nel ‘Giardino’, o ‘Giardin grande’, si è molto discusso e si discute tuttora. Definitivamente prosciugato da un riordino idraulico della fine dell’Ottocento, esso deve probabilmente la sua origine alla voluta sistemazione di un ristagno naturale d’acqua, operato dalle esondazioni dei vicini torrenti Torre o Cormor, secondo un uso frequente nella alta e media pianura friulana, prive di corsi d’acqua perenni e caratterizzate da suoli ghiaiosi particolarmente permeabili, le riserve d’acqua per l’abbeveraggio del bestiame venivano parzialmente garantite dalla realizzazione, al centro degli abitati, di invasi artificiali, col fondo reso impermeabile con uno strato di argilla, a contenimento delle acque piovane, dette “sfueis”; cfr. A. Tellini, Le acque sotterranee del Friuli e la loro utilizzazione, 1898, p. 20. 57 “Consumata nei primi anni del Quattrocento l’annessione, per tutto il secolo la serenissima repubblica di San Marco tratta la terraferma con una sorta di benevolo distacco, limitandosi al controllo militare, a riscuotere e a imporre nei rispettivi terrritori i propri rettori, appartenenti ai ranghi del patriziato lagunare, e confermando nello stesso tempo antiche costituzioni e giurisdizioni dei governi locali...Così i rettori veneziani si installano nei cuori delle città, ma in nessun caso vanno a occupare le sedi degli antichi consigli comunali che, quindi, non mutano né esauriscono la propria funzione. Anzi, è proprio durante il primo secolo del dominio che la maggior parte delle domus comunis venete viene ingrandita, abellita o rifatta ex-novo, obbidendo a una sorta di sfida-emulazione nei confronti della dominante e del suo splendido palazzo Ducale. E tale ambiguo atteggiamento, a seconda della prevalenza dell’una o dell’altra componente, si manifesta sai nell’orgogliosa risposta di un proprio peculiare linguaggio architettonico, come a Verona o a Vicenza, sia, come a Udine, nell’evidente, enfatizzata accettazione del modello lagunare... È la sconvolgente esperienza della guerra di Cambrai ... a far capire appieno alla classe dirigente l’importanza ormai vitale della terraferma per la sicurezza e la stessa sopravvivenza della repubblica e a imprimere un brusco virage nei rapporti tra le due parti ...”, in D. Battilotti, Piazza Contarena a Udine. Uno spazio veneziano per la Serenissima, in M. Tafuri (a cura di), La piazza, la chiesa, il parco, 1991, p. 9. Si tratta, comunque, di una parvente ricchezza della città, soggetta a un drenaggio economico notevole da parte del governo veneziano (cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 8, nella citazione di Girolamo di Porcia, Descrizione della Patria del Fiuli, fatta nel sec. XVI dal conte Girolamo di Porcia..., 1897, pp. 89-91: “Ne cavano gli Illustrissimi Signori Veneziani, oltre li boschi suoi propri [...] ed oltre che niuno particolare può tagliare nelli suoi Boschi Roveri senza licenza de’ Signori dell’Arsenal [...] ne cavano prima le ordinanze, ovvero Cernide [...] – Archibusieri N. 1250 – Galeotti N. 1300 – Picche N. 1250 [ segue un elenco di tributi, da varie comunità, per complessivi 41.833 ducati. Di questi, 14.177 si spendono localmente per Patriarca, Luogotenente, Vicario, Capitano, Marescalco, ecc., il resto si manda a Venezia”), che conferma “– una volta di più – la saldatura tra architettura di rappresentanza e pauperismo”, cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 34. La trasformazione della città coinvolge il passaggio tra lo stile gotico veneziano e le forme del Rinascimento, che andranno affermandosi soprattutto negli interventi successivi al terremoto del 1511. 58 È una delle piazze italiane più suggestive che, contribuisce, con lo sfilare dei bassi portici delle strade che ad essa convergono, a definire a tutt’oggi il volto ‘veneto’ della città. Per la storia della piazza cfr. D. Battilotti, Piazza Contarena a Udine. Uno spazio veneziano per la Serenissima, in M. Tafuri (a cura di), La piazza, la chiesa, il parco, 1991, pp. 9-55. 59 La Loggia del Lippomanno, voluta dal luogotenente Tommaso Lippomanno, costeggia la salita al colle del Castello, secondo le forme gotico veneziane opera di Francesco Floriani. 60 La Loggia Comunale è realizzata, secondo il disegno dell’orefice Nicolò Lionello, sotto la direzione di Bartolomeo delle Cisterne da Capodistria, seguendo la ricorrente tipologia di forme e colori riconducibile al Palazzo Ducale di Venezia, “il più bel monumento gotico-veneziano che si trovi fuori Venezia: il più bello de palazzi pubblici, dopo il Palazzo Ducale”, cfr. D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 34. Verrà rinnovata nelle dimensioni nel XVII secolo e restaurata dall’architetto udinese Andrea Scala, a seguito del rovinoso incendio del 1872. Per la storia della costruzione cfr. V. Joppi, G. Occioni-Bonaffons, Cenni storici sulla loggia comunale di Udine con 48 documenti inediti, 1877 e le successive correzioni in D. Battilotti, Piazza Contarena a Udine. Uno spazio veneziano per la Serenissima, in M. Tafuri (a cura di), La piazza, la chiesa, il parco, 1991, pp. 9-55. 61 Alla presenza a Udine nel 1555 del Sansovino (1486-1570) viene fatta risalire una sua consulenza per l’edificazione del palazzo, alle spalle della Loggia, blocco regolare privo di particolare interesse (“Mi sono chiesto più volte se questo oggettivo volgere le spalle – da parte di tutti i vedutisti – al fabbricone degli Uffici comunali e alle restanti modeste case ... non sia l’evidente dimostrazione dello scarso valore estetico – in ogni tempo – di questo lato della piazza”, in F. Tentori, Udine, 1988, p. 90). Demolito all’inizio del Novecento, è stato sostituito dal palazzo dei Nuovi Uffici Comunali progettato dall’architetto friulano Raimondo D’Aronco (1857-1932), di cui all’ampia recente bibliografia (p.e. in M. Nicoletti, D'Aronco e l'architettura liberty, 1982; E. Quargnal, M. Pozzetto (a cura di), D'Aronco architetto, 1982; D. Barillari, Raimondo D'Aronco, 1995. 62 La costruzione della loggia di San Giovanni, in forme rinascimentali, è dovuta allo scultore Bernardino da Morcote, forse in collaborazione con Giovanni da Udine (cfr. D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 90). Assieme a Pilacorte, Bernardino da Bissone, Carlo da Carona, Bernardino da Morcote, è uno dei principali rappresentanti della scuola dei lapicidi lombardi che operarono in Friuli tra il XV e il XVI secolo. Cfr. nota 33; G. Bergamini (a cura di), Architetti e lapicidi ticinesi nei secoli XV e XVI, 1984, P. Goi (a cura di), La scultura nel Friuli-Venezia Giulia, II. Dal Quattrocento al Novecento, 1988. 63 La Torre dell’Orologio è la prima opera in città di Giovanni Ricamatore (1487-1564), allievo di Raffaello meglio noto come Giovanni da Udine arrivato in città nel 1527 in fuga da Roma, saccheggiata dai Lanzichenecchi. Giovanni da Udine, allievo di Raffaello, è comunemente noto per la realizzazione a grottesche delle Logge Vaticane e per aver riscoperto la ricetta dello stucco antico. Probabile rimaneggiamento di una delle torri dell’antica cerchia attorno al colle, per la severa mole che la contraddistingue, la Torre dell’Orologio “non deriva intanto dalla Torre del Codussi in Venezia, come si dice di solito,(se non per essere appunto una «torre con orologio»), ma si rifà direttamente alle torri-mausoleo romane comuni nelle Gallie, nella Siria, nell’Africa Romana...Quella delle torri (campanarie e no) non era questione da poco: né da potersi limitare, nell’ambito dell’architettura rinnovata, alla scelta della «veste» più adatta o meglio compatibile con la chiesa (o palazzo) di pertinenza. Era diventato un problema urbanistico. Passato il tempo delle torri «a sciame» (o «in ordine sparso»di Bologna o S. Gimignano, l’edificio alto – campanile o torre – diventa il perno, per così dire, dell’intero settore urbano che gli ruota «visibilmente» intorno: punto focale o di riferimento primario di ogni veduta che in qualche modo lo coinvolga e ne registri la manifesta emergenza”, in D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 89. 64 I lavori avvengono su progetto dell’architetto Giovanni Fontana. L’iniziale monumentale pianta quadrata con corte centrale viene ricondotta alla costruzione di un’unica ala, probabilmente da Giovanni da Udine, che ne completa il fronte interno con la realizzazione dello scalone d’onore (1547). La ricostruzione del Castello di Udine si colloca, temporalmente, nella fase iniziale del processo di appropriazione politica sostanziale del territorio di terraferma da parte della Repubblica di Venezia, conseguenza della guerra di Cambrai (cfr. nota 57), messo poi a punto dal Doge Andrea Gritti (1523-1538), con un progetto di renovatio imperii nell’ “autocoscienza orgogliosa della propria unicità che rinnova e nutre il mito ... di unica, legittima erede della grandezza di Roma imperiale: mito che ritroverà pubblica e compiuta celebrazione nella revisione forense delle piazze marciane.”, cfr. D. Battilotti, Piazza Contarena a Udine. Uno spazio veneziano per la Serenissima, in M. Tafuri (a cura di), La piazza, la chiesa, il parco, 1991, pp. 9-10. Dell’architetto Giovanni Fontana, di probabile origine lombarda, si hanno notizie vaghe e frammentarie. Unico elemento conoscitivo è una lettera del 1517 in cui egli riferisce del progetto per il nuovo palazzo a Giorgio Cornaro, padre del luogotenente, Giacomo Cornaro, da cui, accanto alla solida cultura vitruviana, emerge come egli dovesse essere “ben consapevole dell’importante ruolo, figurativo e ideologico ... nei confronti della città” che esso avrebbe assunto; cfr D. Battilotti, Piazza Contarena a Udine. Uno spazio veneziano per la Serenissima, in M. Tafuri (a cura di), La piazza, la chiesa, il parco, 1991, pp. 30-31. 65 Cfr. D. Battilotti, Piazza Contarena a Udine. Uno spazio veneziano per la Serenissima, in M. Tafuri (a cura di), La piazza, la chiesa, il parco, 1991, pp. 43-44. 66 Il campanile della chiesa di S. Maria del Castello venne realizzato in due fasi: la prima parte del fusto (1515) è opera di Gaspare Negro, autore anche della facciata rinascimentale della chiesa (1525), il tamburo e la cupola (1539-1540) sono, invece, attribuiti a Giovanni da Udine Il campanile del Duomo era stato realizzato tra il 1441 e il 1450 da Bartolomeo delle Cisterne e Cristoforo da Milano, sopra il preesistente Battistero del 1350. 67 La facciata di San Giacomo, realizzata in pietra d’Istria secondo le linee rinascimentali da Bernardino da Morcote, fu terminata nel (1525-1533). In M. Zocconi, La facciata rinascimentale della Chiesa d San Giacomo Apostolo nella piazza del Mercato Nuovo a Udine, 1960, vengono dettagliatamente illustrate le vicende di cantiere, come ricavabili dalle carte dell’archivio della parrocchia. 68 In D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 88. 69 “Nel 1445 viene firmato un concordato tra la Repubblica di Venezia e il Patriarca di Aquileia Ludovico Trevisan, già arcivescovo di Firenze. La Signoria gli riconosce la giurisdizione ecclesiastica di sul Friuli...oltre alla giurisdizione feudale su Aquileia, S. Vito e S. Daniele. ... Trevisan fu presente a Udine soltanto per sedici giorni... Soltanto con Francesco Barbaro, il grande interprete in Friuli della riforma tridentina, patriarca dal 1594 al 1616, la residenza diventa stabilmente e ufficialmente Udine”, in L. Cargnelutti, Il palazzo patriarcale, poi Arcivescovado; il Seminario, in E. Bartolini et al., Cento case di provincia, 1994, p. 153. Infatti “Un complesso di tristi vicende impedì al patriarca Giovanni Grimani (1545-1593) di stabilirsi a Udine, nonostante l’obbligo di residenza imposto ai Vescovi dal Concilio di Trento”, in G. Biasutti, Storia e guida del palazzo arcivescovile di Udine, 1958, p. 12. 70 Cfr. F. Tentori, Udine, 1988, p. 52. 71 È del 1441 un’ordinanza per la posa di finestre in vetro “a maggior ornamento della città”, cfr. Annales, Tomo XXVI (1436, 24 Genaro, fol: 168). 72 Cfr. Annales, Tomo XXXV (1479, 29 Settembre, fol.: 173, 1481, 29 Settembre fol.: 258, 1482, 29 Settembre, fol: 258). 73 “Questo tipo di ristrutturazione «sparagnina» [parsimo- niosa] (di Palazzo dei Banchi a Bologna [del Vignola] e di Palazzo Moro-Lin a Venezia [di Sebastiano Mazzoni]: per non parlare della stessa Basilica palladiana di Vicenza), che mette a dura prova le capacità tecniche e inventive dell’architetto, sfidandolo in qualche modo a dare il massimo di sé, finisce per rappresentare più uno stimolo che una remora per l’artista: provocandone la creatività con un risultato talora altamente positivo”, in D Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 85. 74 Il primo nucleo del palazzo fu realizzato, a partire dal 1566, su progetto di Francesco Floreani, “appartenente ad una famiglia di artisti che già molto avevano dato al Friuli, noto soprattutto per la sua attività di pittore e intagliatore, ... uno dei personaggi più in vista della città e uno dei più validi artisti udinesi tanto che Giorgio Vasari nel 1568 lo ricorda come “bonissimo pittore et architetto” ”, in G. Bergamini, Il Palazzo del Monte di Pietà di Udine, 1996, p. 20. 75 “Il Palladio per suo conto mostrò d’altro canto di tenere in assai maggior conto ... il Palazzo-Villa per Floriano Antonini ... . Gli è dato in effetti (nei Quattro libri) il posto d’onore: aprendo di fatto la serie delle opere autografe che l’artista intende riprodurre e proporre come modello a quanti, «committenti virtuali» o professionisti presuntivi, intendessero trar profitto da suo esempio e dal suo collaudato magistero teorico e pratico.” in D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 92. Lo studio sistematico delle carte d’archivio e lo spoglio critico delle fonti per la definizione della storia della fabbrica sono stati portati a termine da Licia e Massimo Asquini (cfr. L. Asquini, M. Asquini, Andrea Palladio e gli Antonini: Un palazzo "romano" nella Udine del Cinquecento, 1997. Andrea Palladio (1508-1580) realizza in Friuli tre opere: l’Arco Bollani (1556) e il palazzo Antonini (1556) a Udine, il Palazzo dei Provveditori di Cividale (1565), la porta urbica, Porta Gemona o il “Portonat”, di San Daniele del Friuli (1579). Attribuita al Palladio su base stilistica, ma senza riferimenti documentari, è la porta di accesso alla Loggia Comunale. 76 “Monofore e bifore gotiche affiorano del resto in più luoghi della città antica quando capiti di ristrutturare, consolidare (o anche demolire) case antiche o palazzetti comunque già rimaneggiati o ristrutturati tra il Cinquecento e l’Ottocento. Sarà bene rilevarne e tenerne buona memoria. C’è il rischio di poter ricostruire un giorno o l’altro sulla carta le linee essenziali di quella Udine gotico-veneziana, che più non sussiste e non si vede. E che sarà forse il caso di dichiarare piuttosto «sommersa» che distrutta”, in D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 36. 77 “... io distinguo una città interna «borghese» da una Udine «contadina»... La prima caratteristica differenziale riguarda la molto notevole – da un caso all’altro – lunghezza dei borghi: tra la cinta interna e quella esterna (e definitiva), che chiuse la città dal XV al XIX secolo compreso. L’intero borgo di Poscolle, verso ovest, tra il portone interno e la porta della città, misura 350 metri. I diplomi del Thesaurus attestano che i lotti venivano concessi a piccoli artigiani, che si accontentavano di un sedime di due o tre passi di facciata, e con una profondità variabile ma, non di rado, inferiore ai 20 metri. ...”, F. Tentori, Udine, 1988, p. 117. Il Thesaurus cui l’autore fa riferimento è il Thesaurus Ecclesiae Aquileiensis, redatto nella seconda metà del Trecento dal notaio e cancelliere patriarcale Odorico Susanna e dal di lui figlio Giovanni; “Il capitolo VI del Thresauru [De feudis habitantiae in Castri Utini] rappresenta una sorta di censimento dei feudi di abitanza Castri Utinii, fatto eseguire nel 1335 dal patriarca Bertrando. Ma i riferimenti ad altri feudi udinesi sono molteplici in tutto il libro”, cfr. F. Tentori, Udine: Mille anni di sviluppo urbano, 1983, p. 505 (scheda della estesissima parte dedicata ai riferimenti bibliografici). 78 Per il borgo San Lazzaro, Francesco Tentori commenta: “[l’osservatore] è portato a chiedersi se si trova, ancora, nel capoluogo del Friuli o se è stato trasportato, all’improvviso, in uno qualsiasi dei tanti paesi della regione. Non si incontra, mai, architettura di grande qualità: edilizia agricola estremamente semplice, a sviluppo orizzontale, ritmata dai grandi ingressi carrai con tetti in tegole sporgenti quanto richiede la piovosità del clima”, cfr. F. Tentori, Udine, 1988, discorso, peraltro, valido per tutti i borghi annessi dall’ultima espansione muraria. 79 Cfr. 35. 80 Si tratta dell’apertura di ulteriori 9 arcate sui lati est e sud, ad ampliamento dell’area porticata, lavoro eseguito da l tagliapietra di Venezia Pietro Bagatella, nelle forme gotico-veneziane dell’edificio originario. In F. Tentori, Udine, 1988, p. 109, viene commentato l’interessante disegno inedito, attribuito al Bagatella, che illustra il progetto di completamento delle arcate, con indicazione dei lavori da farsi, dei materiali necessari e dei tiranti aggiuntivi da utilizzare per l’apertura dei nuovi varchi. 81 I lavori riguardano la realizzazione del corpo centrale, voluta dal patriarca Francesco Barbaro. 82 Per le vicende costruttive del palazzo del Monte di Pietà cfr. G. Bergamini, Il palazzo del Monte di pietà, 1996; per la sua produzione complessiva cfr. S. Moretti, «Fondamenti sodi et non pensier vani»: Giuseppe Benoni ingegnere e architetto tra Venezia e il Friuli nella seconda metà del XVII secolo al servizio della Dominante, in G. Mazzi e S. Gaggia (a cura di), «Architetto sia l’ingegniero che discorre». Ingegneri, architetti, proti nell’età della Repubblica, 2004, pp. 153-183. Giuseppe (Iseppo) Benoni: “Architetto e ingegnere. Nacque nel 1618, forse a Trento, morì a Venezia nel 1684. Dal 1657 fino alla morte fu sovrastante ai lavori della laguna di Venezia; e nel 1675 presentò, insieme con Baldassarre Longhena, Andrea Cominelli e Giuseppe Suardi, il disegno per la costruzione della facciata della Dogana di Mare. Essendo stato prescelto il suo disegno. il B. iniziò nel 1676, e terminò nel 1682 la costruzione, semplice, col loggiato inferiore a colonne binate, sul quale si eleva la torre quadrata sorreggente un globo che serve di piedistallo alla celebre statua di bronzo dorato della Fortuna: l’insieme è di grande effetto pittoresco”, in L. M. Tosi, Benoni, Giuseppe, 1949, p. 651. Benoni fu proto della fortezza di Palmanova. 83 È il caso del palazzo Bartolini, del palazzo Deciani-Braida di via Aquileia, del palazzo Stassoldo-Mantica, del palazzo Mangilli-del Torso, del palazzo Antonini-Belgrado, dell’ampliamento di palazzo Gorgo-Maniago, cfr. E. Bartolini, et al., Raccontare Udine. Vicende di case e palazzi, 1983. 84 Realizzazioni di particolare rilievo sono le decorazioni affrescate del comasco Giulio Quaglio (1668-1751), di palazzo Strassoldo-Mantica (1692) e del palazzo Belgrado-Antonini (1698). 85 Il teatro fu realizzato per volere di Carlo Mantica nel 1680, a lato del Duomo. 86 Baldassarre Longhena (1598-1682) è, infatti, impegnato nell’edificazione della Chiesa della Salute (dal 1639), nel completamento delle Procuratie Nuove (lavori terminati nel 1640), nel cantiere di Ca’ Pesaro (dal 1652), nella Chiesa degli Scalzi (1656-1663), nel cantiere di Ca’ Rezzonico (dal 1667), all’Ospedaletto (1670-1672). 87 “La scarsa conoscenza che ancor oggi possediamo dell’architettura del Seicento in Friuli ... impedisce di valutare con la dovuta attenzione “muratori” che pur ebbero peso nello sviluppo dell’arte friulana e che forse furono più dotati sul piano tecnico di quanto si pensi”, in G. Bergamini, Il Palazzo del Monte di Pietà di Udine, 1996, p. 34. 88 Si dà notizia della presenza a Udine di Michele Sanmicheli (1484-1559), anonimo accompagnatore del capitano generale del dominio , Francesco Maria della Rovere, il 2 settembre 1532 (cfr. D. Battilotti, La piazza Contarena a Udine. Uno spazio veneziano per la Serenissima, in M. Tafuri (a cura di), La piazza, la chiesa, il parco, 1991, p. 35; la presenza di Vincenzo Scamozzi (1548-1616) in sopralluogo al cantiere di Palmanova è documentata per il 9 ottobre 1593 cfr. G. Mazzi, Sottrazioni al catalogo: idee e progetti per Palmanova (1593), in F. Barbieri, G. Beltramini (a cura di), Vincenzo Scamozzi 1548-1616, 2003, pp. 348-352); Giuseppe Benoni, proto della fortezza, definì il progetto ultimo per il completamento dei lavori del palazzo del Monte di Pietà, cfr. 82. 89 Per le vicende della famiglia dei banchieri toscani Manini, nobili veneziani da metà Seicento, cfr. M. Frank, Virtù e fortuna. Il mecenatismo e le committenze artistiche della famiglia Manin tra il Friuli e Venezia nel XVII e XVIII secolo, 1995. 90 In D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 69. 91 Come indicato in D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 69, rimando in nota 15, per gli interventi settecenteschi nella fabbrica del Duomo cfr. C. Someda de Marco, Il Duomo di Udine, 1970, pp. 133-146. 92 Domenico Rossi (1657 -1737), architetto di origine ticinese, fu attivo a Venezia e nelle terre della Serenissima (cfr. E. Bassi, Architettura del Sei e Settecento a Venezia, 1962; pp. 207-232; E. Concina, Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX secolo, 1995, pp. 269-284). Nipote, da parte di madre, dell’architetto Giuseppe Sardi, fu apprendista scalpellino nella bottega dello zio e in quella di Baldassare Longhena (1598-1682); su incarico del patriziato veneto progettò e costruì palazzi, ville, chiese e cappelle, tra cui la facciata su Canal Grande della chiesa di San Stae (1710-12) e il palazzo Corner della Regina (1723-30). Fu ingegnere pubblico del Magistrato della sanità e della zecca a Venezia e attivo anche in Grecia, in Istria e in Slovenia; a Lubiana (Slovenia) eresse la chiesa dei Cavalieri della Croce (S. Maria Ausiliatrice, 1714-16). Si interessò direttamente ai commerci della pietra D’Istria, traendone grandi guadagni. In Friuli operò nell’edilizia civile (palazzo del Barco a Osoppo, ridefinizione del complesso della Villa Manin a Passariano), pubblica (ampliamento del Palazzo Patriarcale di Udine) e religiosa (riforma del Duomo di Pordenone e del Duomo di Udine, cappella Manin e S. Maria dei Filippini a Udine, Duomo di S. Daniele). In particolare la villa Manin di Passariano, località a circa 20 km da Udine, in comune di Codroipo, sarà la fastosa residenza di Ludovico Manin, ultimo Doge della Repubblica di Venezia (1787-1797). La villa ospiterà ,fra il 27 ed il 28 agosto 1797, Napoleone Bonaparte e Giuseppina Beauharnais; vi verrà firmato, 17 ottobre 1797, il trattato fra Francia ed Austria noto sotto il nome di “Campoformio”. Dal paese prenderà, inoltre, il nome il Dipartimento con Udine capoluogo, secondo la riorganizzazione del territorio degli stati ex-veneti (29 aprile 1806), cfr. L. Cargnelutti, R. Corbellini, Udine Napoleonica. Da Metropoli della Patria a capitale della Provincia del Friuli, 1997, pp. 267-272. 93 Nonostante la certa attribuzione dei lavori, non è ancora ben chiaro - e solo il prosieguo delle ricerche da pochi anni iniziate sullo studio dei cantieri settecenteschi potrà dare una risposta all’interrogativo – quale sia stato il ruolo effettivo nella realizzazione delle opere degli architetti di fama coinvolti nelle fabbriche udinesi. Sembra che i progetti di massima, inviati anche per posta, venissero eseguiti da altri, ma allo stato delle conoscenze non si sa se questa fosse una prassi comune. A riguardo Raffaella Picco (cfr. R. Picco, Per una storia del cantiere nel Settecento: l’attività di Giorgio Massari a Udine, 1993, pp. 106-112) ha approfondito con rigore e dedizione la storia del cantiere settecentesco della Chiesa della Grazie, analizzando con cura il libro inedito dei conti e definendo il ruolo nei lavori di Giorgio Massari, di cui alla successiva nota 95. 94 Cfr. G. Biasutti, Storia e guida del palazzo arcivescovile di Udine, 1958, p. 15. 95 Giorgio Massari (1686-1766), architetto, figlio di un falegname del Trevigiano, fu attivo a Venezia e in Lombardia (cfr. A. Massari, Giorgio Massari architetto veneziano del Settecento, Vicenza, 1971; E. Bassi, Architettura del Sei e Settecento a Venezia, 1962, pp. 295-334; E. Concina, Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX secolo, 1995, pp. 256-292). I suoi lavori principali sono le chiese di Santa Maria della Pace a Brescia (1730-46), la chiesa di Santa Maria del Rosario ai Gesuati a Venezia (1747-66) e il completamento di Ca' Rezzonico a Venezia (1752-56). In Friuli il Massari lasciò un’impronta tangibile con la realizzazione della facciata della chiesa di Sant’Antonio a Udine, che “diventerà modello-guida per le numerose chiese del territorio friulano” (in D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 70), “assurto in Friuli e nel contiguo Veneto, a prototipo, per eccellenza, della chiesa cattolica controriformista” (in F. Tentori, Udine, 1988, p. 134). Oltre al disegno della Parrocchiale di Gagliano (1766), sono attribuiti a Giorgio Massari: la riforma del Duomo di Cividale (1766), il progetto della navata della Chiesa delle Grazie (1730-1746) e dell’altare della Cappella della Madonna delle Grazia a Udine (per lo studio documentato di queste opere e degli altri lavori udinesi cfr. R. Picco, Per una storia del cantiere nel Settecento: l’attività di Giorgio Massari a Udine, 1993 e la sintesi in D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 70), i disegni degli altari di S. Donato a Cividale (1735), della Madonna del Rosario a Codroipo (1763). A Udine lasciò, inoltre: il progetto per la costruzione della chiesa del S. Spirito (1738-1752), della chiesa di S. Valentino (1734-1744), della chiesa di S. Bernardino (1747-1759), un parere, in data 13 agosto 1738, con disegno per la sopraelevazione della Loggia di San Giovanni. Con il progetto per Palazzo Brutti ed il rifacimento del Duomo di Capodistria, Giorgio Massari diede una grande impronta all'immagine architettonica della Capodistria settecentesca. Sia Domenico Rossi che Giorgio Massari progettarono opere per i territori veneti dell’Istria. Mentre agevole è il confronto delle opere a Udine con le realizzazioni veneziane, ampiamente studiate e ben note, più difficile risulta il collegamento con questi lavori, geograficamente vicini, ma sostanzialmente lontani; sarebbe molto interessante, tra l’altro, capire se, accanto allo scambio di merci e materiali da costruzione, vi fosse anche uno scambio di maestranze specializzate tra i cantieri. In tal senso la presenza in città durante il XV secolo di Bartolomeo delle Cisterne da Capodistria (cfr. 60 e 66) evoca un collegamento possibile, non ben delineato. 96 “cercando di coniugare la raffinatezza della decorazione tardobarocca con la lezione palladiana”, secondo uno schema "che diventerà modello-guida per le numerose chiese del territorio friulano", in D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 70. 97 Cfr. D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 74. 98 Il Seminario venne realizzato su progetto di Carlo Corbellini, “carmelitano bresciano appartenente a una nota famiglia lombardi di architetti capimastri” (cfr. E. Bartolini et al., Raccontare Udine. Vicende di case e palazzi, 1983, p. 302), della cui vita ed attività si hanno incerte notizie. Sembra abbia lavorato essenzialmente a edifici sacri: la chiesa di S. Geremia a Venezia (1751), la facciata della Chiesa degli Scalzi a Vicenza (1756), la facciata della chiesa di S. Caterina o «Rosa Mistica» (1774-1778) a Cormons (Gorizia) . Il seminario di Udine, il cui progetto è datato al 1771, è l’unica opera civile realizzata a lui attribuita. Cfr. D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli-Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 74; M. Manli Pascoletti, R. Boschi, Corbellini Carlo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 1983, (28), pp. 722-724. 99 La facciata del nuovo Oratorio della Purità (1758) è opera del capomastro Luca Andrioli j.. Andrioli appartiene a una famiglia di costruttori, di origine lombarda, cui si fa riferimento in molti carteggi relativi ai cantieri dell’epoca, fino a ipotizzare un coinvolgimento in prima persona non solo nella costruzione, ma anche nella progettazione delle opere, sulla scorta di quanto appreso nei cantieri importanti seguiti. “Anche per gli Andrioli, la cui attività di costruttori copre l’arco del secolo, attestandosi soprattutto a Udine e dintorni, si può parlare di semplificazione e volgarizzazione della lezione massariana, ma con esiti più originali e personali” (in D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 73, commento parte di un confronto con l’attività di una seconda stirpe di costruttori, i tolmezzini Schiavi). 100 Esemplificativa è la realizzazione di Palazzo Florio, per le cui vicende cfr. R. Picco, Per una storia del cantiere nel Settecento: l’attività di Giorgio Massari a Udine, 1993, pp. 342-371, G. Valle, D. Barillari, Palazzo Florio, in Università degli studi di Udine, L'università del Friuli: vent'anni, 1999, pp. 377-385. 101 Questa tesi è espressa in E. Bartolini et al., Raccontare Udine. Vicende di case e palazzi, 1983, pp. 73. 102 L’interesse verso la cultura architettonica classica è riconducibile all’influenza del circolo dei Riccati di Treviso, cfr. G. Bucco, La cultura “riccatiana” in Friuli e l’edizione del Vitruvio Udinese, in Arte in Friuli arte a Trieste, 1976, pp. 91-116. Punto di arrivo dello studio delle conoscenze architettoniche sarà l’edizione udinese del trattato di Vitruvio (1830). Peraltro, presso la Scuola dei Barnabiti, viene aperto a Udine nel 1770 “un corso di architettura civile e militare, di impostazione eminentemente pratica, a formare “agrimensori, idraulici, architeti, computisti” in grado di affrontare il loro lavoro su sicure basi tecniche”, in D. Battilotti, Tra Venezia e Vienna. L’architettura del Settecento in Friuli - Venezia Giulia, in G. Bergamini (a cura di), Giambattista Tiepolo. Forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, 1996, p. 75. 103 In. A. Biasi, E. Vassallo, L’eredità napoleonica a Udine. Una nuova immagine per la città, 1995, p. 31. 104 In. A. Biasi, E. Vassallo, L’eredità napoleonica a Udine. Una nuova immagine per la città, 1995, p. 37. 105 In. A. Biasi, E. Vassallo, L’eredità napoleonica a Udine. Una nuova immagine per la città, 1995, p. 45. 106 Per la storia del travagliato progetto per il nuovo Ospedale e la sua realizzazione cfr. D. Barillari, L’Ospedale vecchio di S. Maria della Misericordia dei Battuti, 1982. 107 Giuseppe Jappelli (1783-1852) “il maggiore degli architetti veneziani della generazione successiva al Selva" (cfr. D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 233), noto per la realizzazione a Padova del Caffè Pedrocchi, lascia in città “la maggiore impresa del Neoclassicismo udinese” (ivi, p. 233), in un momento di sostanziale stasi, se confrontato con quello di fervente attività edilizia in atto nella vicina Trieste (cfr. F. Caputo, R. Masiero (a cura di), Neoclassico: la ragione, la memoria, una città: Trieste, 1990). 108 Il progetto di riedificazione è legato al nome dell’architetto Valentino Presani (1788-1866), la cui opera è dettagliatamente delineata in G. Bucco, Il Neoclassicismo udinese e l’opera di Valentino Presani, 1975. 109 Il progetto per la Chiesa delle Grazie, di Valentino Presani, è del 1837, quello per la Chiesa del Redentore, del 1833, è di Giovanni Battista Bassi (1792-1879), “diffusore in Friuli dei modi più strettamente con il Selva e in genere con il revival del dorico”, in D. Gioseffi, Udine. Le arti, 1983, p. 234. 110 Andrea Scala (1820-1892), architetto, fu soprattutto uno specialista di teatri, tra i quali il Teatro di Pisa, il Teatro delle Logge del Grano a Firenze, il Teatro Manzoni di Milano (con G. Canedi), il Teatro Massimo di Catania (con C. Sada), l’Opéra di Bastia. A Udine lo Scala ristrutturò il Teatro Sociale. 111 Cfr. A. Scala (a cura di), Il palazzo del comune di Udine: relazione storica artistica illustrata, 1878; V. Tonissi, La loggia di Udine e le sue nuove decorazioni, 1878. I lavori furono, comunque, criticati da taluni per le modifiche operate, la cura limitata nelle decorazioni, l’ingaggio di artisti e artigiani non locali, cfr. M. Saccomanni, Il ristauro della loggia comunale di Udine e gli artisti friulani, 1878. 112 Cfr. Annales, Tomo XXX (1452, 23 Ottobre, fol: 186). 113 Cfr. E. Concina, Pietre, parole,storia: glossario della costruzione nelle fonti veneziane, secoli XV-XVIII, 1988. |