La regione Friuli Venezia Giulia è particolarmente ricca di materiale da costruzione vario nelle caratteristiche fisiche e nell’aspetto. Fino al secolo scorso la frammentazione delle aree di estrazione era estrema e praticamente ogni abitato di collina e montagna aveva delle cave prossime in grado di fornire tutto il materiale necessario alla costruzione dell’edilizia corrente, anche se, nelle costruzioni tradizionali, l’uso degli elementi in pietra da taglio è stato principalmente rivolto alla realizzazione dei portali, delle mostre di porte e finestre, delle mensole dei balconi, dei barbacani delle travi di bordo dei solai, dei camini e di altri elementi decorativi.

In tutta l’area friulana, infatti, eccettuata la parte propriamente montana, è diffuso l’uso dei ciottoli, raccolti nei numerosi torrenti che solcano la pianura e nei terreni alluvionali circostanti, ma, anche, nei depositi morenici collinari, i “claps”, a costituire delle murature spesso a pezzatura mista, con inclusioni in laterizio nelle fughe, e elementi in pietra di pezzatura superiore esclusivamente nei cantonali.

Di questa ricchezza fanno fede gli studi geografici e geologici che, dalla seconda metà dell’Ottocento, costituiscono motivo di vanto e onore per la regione207.

Si tratta e si è trattato di una ricchezza non solo naturalistica, ma con implicazioni economiche evidenti, almeno fino a quando i costi di estrazione e trasporto del materiale si sono mantenuti tali da rendere conveniente lo sfruttamento diffuso.

Sono segno di questo interesse due testi di riferimento per lo studio dei materiali naturali da costruzioni in regione: i Prospetti annessi alla continuazione della memoria sui minerali del Friuli per Camillo Marinoni, anno 1881, e la Descrizione delle pietre e dei marmi naturali che si impiegano nelle costruzioni in provincia di Udine, dell’ingegnere Luigi Pitacco, anno 1884. Si tratta di due corposi fascicoli che, in maniera dettagliata e puntuale, definiscono un inquadramento delle potenzialità di sfruttamento nel campo più generale dei minerali e delle rocce, il primo, e specifico dei materiali da costruzione, il secondo. Traccia di un atteggiamento estremamente metodico nella conoscenza e nel controllo del territorio, proprio del Regno d’Italia, a circa 20 anni dall’annessione del Friuli (1866), i due testi costituiscono una base imprescindibile per la comprensione delle dimensioni dello sfruttamento del suolo del periodo, assolutamente non valutabile altrimenti.

Partendo da queste indicazioni generali, integrate in casi specifici da una bibliografia di dettaglio e dalle fonti di archivio, è andato, così, definendosi un quadro di riferimento in cui i  materiali utilizzati nella realizzazione dei portali: pietre, malte, mattoni, metalli hanno trovato la loro ragion d’essere.


























207
Torquato Taramelli, Camillo Marinoni, Olinto Marinelli, sono i nomi dei più importanti studiosi del territorio friulano.



















IL MATERIALE LAPIDEO

La produzione di portali in pietra nella città di Udine nei cinquecento anni esaminati riflette l’ampia disponibilità di materia prima, dovuta alla vicinanza delle distinte aree di estrazione e dei punti di sbarco delle pietre da cave lontane.

I sopralluoghi svolti per la compilazione i repertori dei portali della città e dei centri limitrofi hanno portato ad individuare, sulla base delle caratteristiche macroscopiche (colore, granulometria, presenza di difetti caratteristici208), sei principali gruppi, indicati secondo le denominazioni:

    . pietra piasentina
    . pietra vernadia
    . pietra d’Istria
    . calcare fossilifero/calcare grigio con fossili
    . calcare bianco
    . altre pietre.

È importante osservare come, mentre le caratteristiche macroscopiche della pietra piasentina, della pietra vernadia e della pietra d’Istria permettano un collegamento ragionevolmente corretto con le zone di provenienza (l’area del Tarcentino e del Cividalese, per le prime due, la costa istriana tra Parenzo e Rovigno, per la terza), per il calcare grigio con fossili, il calcare bianco e alcune altre pietre l’individuazione di un’area ristretta risulta complessa, in assenza di opportune analisi petrografiche e mineralogiche di confronto.

La determinazione esatta della zona di provenienza del calcare grigio con fossili presente in città ha, peraltro, un significato storico che va oltre lo studio petrografico del materiale. Nel caso di questa pietra, infatti, due sono le possibili aree di estrazione: l’area carsica, qualora si tratti della pietra comunemente denominata Aurisina209 e l’area della pedemontana pordenonese, qualora di tratti della pietra detta di Travesio.
Se dell’uso di pietre provenienti dall’area carsica si ha notizia già dagli atti relativi alla costruzione della loggia comunale210, il poter dimostrare la provenienza dall’area del pordenonese del materiale presente a Udine, zona di residenza della scuola dei maestri lapicidi ticinesi, porterebbe a riflessioni di grande interesse sulla predilezione nell’uso di un materiale di più difficile trasporto.

Per quanto riguarda i calcari bianchi, il discorso risulta ancor più incerto, trattandosi di materiali estremamente comuni e diffusi nell’area montana, non necessariamente prodotti di cava, ma, piuttosto, risultato dello sfruttamento di trovanti di dimensioni varie, il cui uso, peraltro, è relativamente limitato in Udine.

È stato riscontrato, inoltre, l’uso episodico di altri materiali lapidei: un’arenaria giallognola, un grigio venato e un calcare rosato, per le cui aree di provenienza si è optato, rispettivamente per la pedemontana pordenonese e le aree prossime agli abitati di Timau e Verzegnis.
















208
Chi scrive è debitrice al signor Italo Bulfone (cfr. nota 167) per l’aiuto nella determinazione del materiale lapideo di alcuni portali cittadini e per le indicazioni sui difetti e sulle caratteristiche visibili della pietra piasentina e della pietra d’Aurisina.












209
Delle caratteristiche specifiche dei diversi tipi si riferisce nei successivi paragrafi dedicati.

210
“… le pietre si conducevano da Monfalcone e fino all’Isonzo…”; cfr. V. Joppi, G. Occioni-Bonaffons, Cenni storici sulla costruzione della Loggia di Udine, 1877, p. 14.



LA PIETRA PIASENTINA

Risulta estremamente efficace la descrizione della pietra fatta da Camillo Marinoni, nel capitolo dedicato ai materiali per uso edilizio211: “Brecciola calcarea dell’eocene, volg. pietra piasentina. - È esclusivamente tra gli strati dell’eocene inferiore che si rinviene questa pietra, conosciutissima in paese, costituita da frammenti angolosi e arrotondati di roccie eoceniche del pari, riuniti in brecciola da un cemento calcareo - marnoso. Sempre molto compatta, veste una tinta cinereo - oscura chiazzata da piccole macchie di colore chiaro, proprio degli elementi calcarei da cui è costituita, e per la sua struttura se ne possono distinguere varietà a grana grossolana, a grana di mediocre grossezza e molto fina. Una tal roccia riposa sui calcari arenacei e marnosi del flisch alpino (1), e si alterna sempre con calcari marnosi e con marne terrose, prive affatto di reliquie organiche, mentre essa stessa contiene qualche rara nummulite. la formazione ne ripete gli strati a più livelli, raggiungendo una potenza complessiva di ben 300 metri nelle Prealpi e nelle colline del Friuli orientale, da Tarcento fino a Gorizia: sulla destra Tagliamento è rara e non appare che in qualche affioramento … Tale conglomerato fornisce una buonissima pietra da costruzione con tutte le desiderabili gradazioni di struttura. È assai resistente alle intemperie atmosferiche, al gelo e perfino all’azione del salso marino: l’ottima è quella a grana più minuta e quindi a compage più serrata, mentre la più grossolana qualche volta si imbibisce di umidità e poi lentissimamente si sgretola ... Nell’arte edilizia viene distinta appunto secondo la grana della sua struttura … se non che lascia a desiderare la sua tinta forse un po’ troppo severa, caratteristica degli edifici di Udine e della parte orientale della provincia.”212.

Molti sono gli studi geologici di dettaglio sull’area, che collocano la formazione dei banchi della pietra piasentina nel “momento finale, di chiusura, del bacino flyschoide friulano”
213, attribuito in genere all’Eocene214.
Si tratta, appunto, di “una brecciola ad elementi calcarei di colore variabile dal grigio-scuro al marrone e al bianco. Appartiene a terreni eocenici dove sono molto abbondanti le rocce clastiche. È un eccellente materiale da decorazione e da costruzione per la sua compattezza. Granulometricamente vengono distinte le varietà: a grana fine, media, grossa”
215.

Il nome della pietra piasentina216 è comunemente associato a quello della località più prossima alle cave oggi in uso217, l’abitato di Torreano, a nord di Cividale del Friuli218. In realtà l’utilizzo della pietra piasentina proveniente da quella località è storicamente documentata solo dalla metà del Settecento219, mentre carte d’archivio precedenti legano la provenienza della pietra dalle località della fascia pedemontana che in direzione nord ovest collega Cividale del Friuli a Tarcento: Faedis, Attimis, Nimis. Nel tempo lo sfruttamenteo di queste cave è andato, però scomparendo per le ovvie molteplici cause: esaurimento della cave, diminuita qualità del materiale estratto, costi eccessivi di estrazione.
Valgano, a titolo d’esempio, le voci di un incartamento ben noti nella storia delle costruzioni della città, quale quello contenente i documenti per la costruzione della prima metà del Settecento del Collegio dei Barnabiti (già in piazza Garibaldi, L0112).

“1732, ott. 30. «Per finestre n. 15 del primo piano, di pietra piacentina d’Attimis, Faellis e Tarcento, … per altre dette n. 11 della stessa manifattura, di pietra piacentina di Cividale … per due portoncini di pietra piacentina d’Attimis …» … 1734, febbr. «Per saldo tre finestre di pietra piacentina di Cividale»…1740, giugno 18. «Finestre tre di pietra piacentina da m. Giacopo q. G. B. Toffoletto di Tarcento …» …”220.


La presenza di cave attive nell’area è, peraltro, documentata negli elenchi di Luigi Pitacco e di Camillo Marinoni.

Compaiono nell’elenco descrittivo dell’Ing. Pitacco, anno 1884, le cave: “13 – Fnossa, Azzida
221… piasentina … eccellente … è di uso comunissimo come quella di Torreano e di Faedis. … 31 – Ciseriis, Comunale per Tarcento … piasentina … eccellente per durevolezza, lavorabilità, coesione colle malte ecc. … La massa nel deposito è a strati della potenza limitata da 30 a 40 cm. … 42 - Cava di Faedis …piacentina … eccellente per resistenza, affinità colle malte ecc. … 92 – Debelis, Platischis … piasentina … buona … la cava è aperta recentemente. …116 - Torreano … piasentina … eccellente … cava ricchissima”222, con indicazione precisa, inoltre, dell’altitudine della cava, della distanza dalla strada e dalla ferrovia, del prezzo degli elementi sbozzati nell’abitato più prossimo, della denominazione mineralogica, del peso specifico,  del colorito, dell’uso comune, secondo l’intento utilitaristico del lavoro: “… e certamente sarebbe in errore chi … per avventura credesse questa provincia povera di belle ed eccellenti pietre da costruzione. Il catalogo che ho compilato, sebbene ristretto alle sole specie principali di uso ordinario, dimostra ad evidenza che di questo materiale abbiamo qui disponibile un bell’assortimento: e le indicazioni e note che il catalogo stesso corredano, appalesano la eccellenza di detto materiale e la ricchezza dei depositi; i quali per essere sparsi in tutte le vallate, si trovano, con vantaggio, alla portata di tutti i centri di consumo grandi e piccoli della provincia”223.

Camillo Marinoni fa, nel contempo, riferimento, nell’Itinerario mineralogico del Friuli224, a: “Valle del Tagliamento pozione mediana … Montenars (Gemona) e valletta del torrente Orvenco: alle sorgenti dell’Orvenco: pietra piasentina. … Bacino dell’Isonzo (Friuli Orientale), Valle del torrente Torre (affluente di destra del fiume Isonzo – e valli tributarie … Ciseriis (Tarcento): a Sedilis …: pietra piasentina brecciola calcarea…Valle del torrente Cornappo (Affluente  di sinistra del Torre – Vallette tributarie), Nimis (Tarcento) in Val del Cornappo: pietra piasentina brecciola calcarea. … Valle del torrente Grivò (affluente di sinistra del Torrente Malina), Faedis (Cividale): nel Canal di Grivò: pietra piasentina brecciola calcarea. … Valle del torrente Chiarò (affluente di sinistra del torrente Malina) Torreano (Cividale): a Canalutto (cave): pietra piasentina brecciola calcarea; a Torreano (cave): pietra piacentina brecciola calcarea; a Prestento (cave): pietra piacentina brecciola calcarea. …Valle del Natisone (affluente di sinistra del torrente Torre), Tarcetta (S. Pietro al Natisone), a Tarcetta: pietra piasentina brecciola calcarea … Rodda (S. Pietro al Natisone): da Mersino a Pulfero: pietra piasentina brecciola calcarea… a Brischis: pietra piacentina brecciola calcarea… S. Pietro al Natisone, nei dintorni: pietra piasentina brecciola calcarea; a Vernasso: pietra piasentina brecciola calcarea. … Valle del torrente Alberona (affluente di sinistra del torrente Natisone), … S. Pietro al Natisone: ad Azzida: pietra piasentina brecciola calcarea. … Valle del torrente Erbezzo (affluente di sinistra dell’Alberona), S. Leonardo (S. Pietro al Natisone): pietra piasentina brecciola calcarea. … Valle del Natisone (pozione inferiore da Cividale alla confluenza nel torrente Torre), Cividale, nei colli di S. Guarzo: pietra piasentina brecciola calcarea, … a Purgesimo: pietra piacentina brecciola calcarea.   Vallette moreniche, Valle del torrente Ledra, … Magnano in Riviera (Tarcento), nei colli: pietra piasentina brecciola calcarea”, estendendo nella descrizione, palesemente legata più alle evidenze geografiche, che alle caratteristiche del materiale, l’area di presenza del materiale, con riferimento a cave di piccole dimensioni e di uso prettamente locale.

L’uso della pietra piasentina è documentato fin dal tempo dei Romani225, in epoca longobarda e a seguire nell’area del Cividalese226, mentre compare in maniera massiccia a Udine solo a partire dal XIV secolo, da un lato per l’assenza, fino a quel momento, di grandi realizzazioni, dall’altro, forse, per le difficili condizioni di trasporto227.

In quanto buon materiale da costruzione, la pietra piasentina è conosciuta fuori regione dal Novecento. Ne parlano il Donghi228, il Pieri229 e, in maniera particolarmente approfondita, il Rodolico, che ne indica, tra l’altro, i difetti più comuni: “Nell’eocene … si trovano i calcarei di colore plumbeo … Talune di queste rocce, sotto la denominazione piuttosto vaga di pietra piasentina, costituiscono per la loro compattezza e conseguente durevolezza eccellenti pietre da costruzione e decorazione:  sono di norma brecciole od arenarie calcareo-marnose di severo colore grigio scuro, anche se macchiettate dal bianco degli elementi calcarei … qualche difetto, legato principalmente alla presenza di noduli argilloso-carboniosi e di concentrazioni di pirite, …”230.
I difetti della pietra sono, peraltro, minuziosamente elencati nei capitolati ottocenteschi: “…la qualità sarà tutta fina delle più scelte cave di Torreano … I pezzi rispettivi saranno tutti interi, e si escluderanno ineccezionabilmente quelli che avranno dei tasselli, venature, crepacci, carboni, buchi ed anche altri difetti da renderli tendenti al deterioramento dell’opera”
231.

Come già indicato, l’uso della pietra sbozzata da parte del Palladio nell’Arco Bollani e nel palazzo di Prospero Antonini apre la strada ad un impiego quasi esclusivo del materiale. Non avrebbe senso, così, indicare i portali in pietra piasentina: è talmente ridotto l’uso di materiali diversi, che l’elenco è dato da tutti i portali, privato dei pochi in pietra vernadia, pietra d’Istria, calcare fossilifero, calcare bianco di seguito indicati.

Nei portali udinesi la pietra compare nelle sue diverse qualità, grossa, media e fine, senza distinzione nell’impiego, quasi a rimarcarne l’uso indiscriminato lamentato dal Pitacco: “Le pietre colorate e variegate, quando se ne facesse uso con la debita convenienza, servirebbero a donare piacevole varietà di tinte ed a formare i contrasti, requisiti che concorrono pur essi a formare il pregio architettonico delle fabbriche. La intonazione stessa di una fabbrica influisce sul suo carattere. Impiegando giudiziosamente pietre di vario colore, si verrebbe a togliere quella monotonia stucchevole delle nostre fabbriche, alla quale noi siamo bensì avezzi, ma che per certo non è di buon gusto; monotonia che non può a meno di impressionare e di essere notata quale singolarità dei nostri caseggiati, specie di quelli di Udine, di Cividale ecc., dove la pietra piasentina … senza distinzione di luogo e di ufficio, si impiega indifferentemente in tutto, nell’esterno e nell’interno delle case, dai marciapiedi delle vie fino quasi a formare delle statue”
232.

La pietra piasentina, tanto lodata in passato per la sua resistenza, mostra oggi, purtroppo, una chiara vulnerabilità all’inquinamento atmosferico nella sua varietà più grossolana, che tende a disgregarsi per perdita di consistenza della matrice cementante. In tal senso inclemente è il raffronto delle immagini d’archivio con lo stato di deterioramento di alcuni portali di pregio (per esempio i portali di palazzo Billia Concina (via Rialto 5, L0786), di palazzo Colloredo (via Aquileia 22, L2051), di casa Politi Camavitto (via Zanon 6, L0701).











































































































































































































211
Cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, pp. 27-28.















212

Il riferimento nel testo alla nota (1) è per T. Taramelli, Catalogo ragionato delle rocce del Friuli, 1877, p. 42. Per quanto riguarda lo sgretolarsi della pietra piasentina a grana grossa il commento del signor Italo Bulfone è stato: “La pietra non è matura, ha la polca”, a indicare un processo di diagenesi incompleto e la presenza di un materiale micaceo interposto ai grani.

213

“Flysch. Alternanza ritmica e ripetuta di arenarie e argille o marne frutto in prevalenza di una sedimentazione avvenuta a seguito di frane sottomarine che a loro volta hanno dato luogo a correnti di torbida” in B. Martinis, Storia geologica del Friuli, 1993, p. 253. “Dal punto di vista geologico la pietra piasentina rappresenta null’altro che un intervallo all’interno di potenti orizzonti di materiale prevalentemente grossolano originato da frane sottomarine, talora colossali. Le frane maggiori, osservabili nei terreni flyschoidi del Friuli Orientale, fanno la comparsa nel momento finale, di chiusura, del bacino flyschoide friulano”; cfr. G. Tunis, La pietra piasentina nel quadro geologico del Friuli orientale, in D. Cerroni Cadoresi (a cura di), Torreano. Il paese della pietra, 1987, p. 65. “La Pietra Piasentina dal punto di vista litostratigrafico appartiene alla sequenza a torbiditi e megabanchi del Friuli e più precisamente va ricercata all’interno di alcuni grossi megabanchi. Ogni megabanco contiene un’enorme quantità di materiali carbonatici risedimentati, franati dal margine della piattaforma, e di marne depositatesi sulla scarpata (Fig. 3). Alcuni megabanchi sono caratterizzati da un orizzonte caotico basale … superiormente al livello caotico si rinvengono brecce e calciruditi non stratificate che sfumano a calcareniti di granulometria grossolana (Pietra Piasentina), media, successivamente fine, quindi a calcilutiti ed infine a marne”; cfr. G. Tunis, La pietra piasentina nel quadro geologico del Friuli orientale, in D. Cerroni Cadoresi (a cura di), Torreano. Il paese della pietra, 1987, p. 68.

214
L’Eocene (53 - 37 milioni di anni fa) è la seconda età del Cenozoico (65 - 2 milioni di anni fa), periodo seguito al Cretacico (140-65 milioni di anni fa) e precedente il Quaternario (2 milioni di anni fa - oggi). “…nell’area orientale (Prealpi Giulie) già alla fine del Cretacico e per tutto l’Eocene, si sviluppa una deposizione flyschoide che costituisce il tipico sedimento pre-orogenetico. Il flysch è una successione marnoso arenacea che presenta in questo settore prealpino intercalazioni carbonatiche a volte potenti. Un esempio eclatante è dato dalla successione interessata dalla cava di Vernasso (Civdale del Friuli) che mostra i sedimenti caotici depositati da un’enorme frana sottomarina, intercalata da livelli flyschoidi, avvenuta oltre 50 milioni di anni fa”; cfr. G. Muscio, Guida alle sale di Scienze della Terra, 1995, p. 43. “La facies  tipica è costituita da una più o meno regolare alteernanza di arenarie e marne; accanto si trovano facies diverse in cui predomina uno dei due litotipi oppure calcareniti e brecciole che possono formare la classica « pietra piasentina» oppure conglomerati”; cfr. B. Martinis, Storia geologica del Friuli, 1993, p. 70. “Facies. Insieme di caratteri litologici, paleontologici e sedimentologici insiti in una roccia; in base a questi caratteri è possibile risalire al suo ambiente di deposizione”; in B. Martinis, Storia geologica del Friuli, 1993, p. 252.

215
"I risultati delle analisi chimiche sono: CaCO3 da 91.81% a 94.53%, MgCO3 da assente a 1.00%, FeCO3 da 1.06% a 1.23%, Residuo solubile in HCl da 4.03% a 5.71%, Peso Specifico da 2.68 a 2.69, Coefficiente di imbibizione % riferito al volume da 0.5809 a 0.8275, resistenza a compressione allo stato naturale da 1346 kg/cm
q a 1755 kg a cmq, dopo cicli di gelività da 846 kg/cmq a 1340 kg/cmq”; cfr. V. Altobelli et al., I marmi del Friuli, 1966, p. 29.

216

Non è chiara l’origine del nome, che si vuole, in genere, derivare dalle similitudini delle caratteristiche della pietra con quelle di una in uso a Piacenza in periodo veneto (cfr. G. Ellero, Costruire in Friuli: dai sassi dei fiumi alla pietra Piasentina, in D. Cerroni Cadoresi (a cura di), Torreano, il paese della pietra, 1987, pp. 43-44), anche se la descrizione che il Rodolico fa della pietra di quella città  non mostra somiglianze evidenti; cfr. F. Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, 1958, pp. 154-156.

217

Per uno studio degli attuali usi, con attenzione alla storia dell’impiego di questa pietra cfr. G. Croatto, La riscoperta della pietra piasentina, 1994, pp. 31-35.

218

Per la descrizione delle caratteristiche del materiale nelle cave attive cfr. G.B. Carulli, R. Onofri, Il Friuli. I marmi, 1966, pp. 73-77.

219

Per questa notizia e un colloquio generale sul tema chi scrive è debitrice all’ingegner Giampaolo Molinari, studioso attento e appassionato della storia di Torreano, della sua pietra e dei suoi scalpellini. Più precisamente, lo storico cividalese Bosio parla di un primo documento, del 1285, in cui si fa esplicito riferimento alla “pietra di Canalutto”, località nella valle di Torreano, per la costruzione della chiesa di San Francesco a Cividale; delle prime cave attive si ha, invece, notizia certa da 1740.

220
Cfr.  V. Masutti (a cura di), Giovanni Battista della Porta, Memorie sulle antiche case di Udine, 1983-1988, pp. 56-58.

221
Località prossima a San Pietro al Natisone, a est di Cividale del Friuli.

222
Cfr. L. Pitacco, Descrizione delle pietre e dei marmi naturali che si impiegano nelle costruzioni in provincia di Udine, 1884, pp. 24-49.

223
Cfr. L. Pitacco, Descrizione delle pietre e dei marmi naturali che si impiegano nelle costruzioni in provincia di Udine, 1884, p. 5.

224
Cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, pp. 60-84.

225
Cfr. M. Visentini, Anche i Romani (forse) usavano la pietra Piasentina, 1983, p. 51.

226
Cfr. M. Buora,  La pietra piasentina nell’arte e nell’artigianato, in D. Cerroni Cadoresi, Torreano, il paese della pietra, 1987, pp. 49-58.

227
Sarebbe, peraltro, interessante valutare quanto abbia pesato sull’uso della pietra del Cividalese la accesa rivalità tra i due centri, sfociata nella guerra del 1346, e il conseguente regime daziario del periodo.

228
“Arenarie. Artegna, S. Pietro al Natis. (Udine), dove si ha un arenaria chiamata pietra piacentina e anche  masegna, che serve per i lastricati”, cfr. D. Donghi, Manuale dell’architetto, 1905, p. 254. In realtà il Donghi confonde le due pietre, la piasentina e la vernadia, in un riferimento probabilmente di  seconda mano.

229
M. Pieri, I marmi d’Italia. Graniti e pietre ornamentali, 1958.

230
Cfr.  F. Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, 1958, pp. 191-192. Tali inclusioni sono indicate correntemente con il termine «carboni», come ricordato a chi scrive  dal signor Italo Bulfone.

231
Cfr. Progetto riformato … per la caserma da farsi ad uso della Imperial Regias Gendarmeria in Udine, 23 febbraio 1852, presso l’Archivio di Stato di Udine, Archivio Comunale Austriaco II, Busta 64, fascicolo 1.

232
Cfr. L. Pitacco, Descrizione delle pietre e dei marmi naturali che si impiegano nelle costruzioni in provincia di Udine, 1884, p. 8.
LA PIETRA VERNADIA

Anche per quanto riguarda la pietra vernadia la descrizione di Camillo Marinoni è di indiscutibile efficacia233: “Arenaria, in paese volg. pietra vernaria.- Nelle formazioni dell’eocene inferiore e medio a contatto delle brecciole nummolitiche dette pietre piasentine mantenendosi però a queste superiori, e in alternanza con marne e puddinghe, si svolge attraverso la regione collinesca del Friuli orientale come pure in qualche tratto della destra Tagliamento, una poderosa formazione di arenarie, identiche ovunque, caratteristiche, in straterelli o banchi assai tormentati, che vengono scavate perché eccellenti pietre da costruzione, senza distinzione se appartengano all’uno o all’altro piano. Talvolta contengono resti di fucoidi di specie non ben determinabili, ovvero appaiono alterate dalle azioni degli agenti atmosferici per cui clivate da profonde fratture; sempre ed ovunque rappresentano il notissimo macigno delle Prealpi e degli Appennini. La roccia consta di un’aggregazione di arena calcareo-quarzosa, alquanto micacea, a grana più o meno fina, assai dura e compatta da essere fin sonora se in lastre, nella quale predominano le tinte cineree-azzurrognole, quando non vi sia abbondanza di sostanze ferruginose che naturalmente colorano in giallo d’ocra e ne rendono scadente la qualità…grande è l’uso che si fa in provincia di questo materiale, specialmente in vicinanza delle cave, dove il prezzo è assai mite in ragione delle limitate spese di trasporto: serve per lastricati, contorni di porte e di finestre, basamenti di fabbricati, gradini, poi a foggiarne abbeveratoi di animali, vasche di ogni sorta, ecc., potendosene avere anche massi di ragguardevole dimensione ... impiegasi più ancora come materiale grezzo nella fabbricazione dei muri e per la sua resistenza all’azione delle fiamme, a costruir focolari. Questa roccia è poi di facile ed economica estrazione anche perché si associa quasi sempre nelle cave della pietra piasentina: inoltre i suoi banchi hanno spessore conveniente e grande estensione. Per tale ragione è la pietra da fabbrica più comunemente usata in tutto il Friuli, anche nelle antiche costruzioni…”.

L’uso della pietra vernadia è documentato in città in tempi molto lontani, presenza facilmente riconoscibile per l’aspetto caratteristico di sfaldamento secondo contorni ondulati della pietra, particolarmente suggestivo in gradini e stipiti di porte e finestre.

Nelle carte del cantiere del Collegio dei Barnabiti si legge: “1732, ott. 30 - … «per otto porte di pietra Bernadia … per quatro antili di pietra Bernadia per finestre …» … 1740, giugno 18 « - Porta di pietra Bernadia - con i suoi dadi …»…”234, nelle stesse voci associate alla pietra piasentina, facendo pensare al nome oggi in uso, pietra vernadia, quale corruzione di quello dell’area di provenienza, il monte Bernadia, a nord est di Tarcento. Altre dizioni sono in uso: per esempio quella di “pietra di Tarcento” -  come nella stima del 7 novembre 1802 di palazzo Daneluzzi Deciani Braida (via Aquileia 33, L0025): “scala di pietra di Tarcento e parte piacentina a due rami …”235, non potendo pensare a una diversa pietra comune in associazione alla piasentina – o “pietra Vinadia”236. La denominazione risulta, invece, definita durante l’Ottocento237.

Si tratta di un materiale da costruzione sicuramente più scadente della pietra piasentina e, per questo motivo, usato nelle costruzioni di pregio cittadine solo nelle parti non visibili e interne, mentre di uso comune nella campagna, sia per la facilità di estrazione, secondo i piani di sfaldatura in posizione prossima alla superficie del suolo, sia per la sua diffusione estesa a tutta la fascia collinare.
Indicata anche come “masegno” o “pietra da costruzione arenaria”, è presente nei due elenchi ottocenteschi del Pitacco e del Marinoni.

Il Pitacco indica diversi luoghi di estrazione: “9 – Monte di Artegna, … masegna o vernadia, …esposta alle intemperie si sfalda; eccellente per muri ordinari, intonacati, … Della stessa specie vi sono ricchi depositi nei colli di Buja, Tarcento, Canale, di Grivò, e Medea. … 18 – Colli di Buia238, … masegna, … Valgono le stesse osservazioni come al N. 9. … 77 – Colle di Magnano … masegna … buona e per murature ordinarie eccellente … Valgono le stesse osservazioni fatte per la masegna di Artegna. … 105 – Tarcento, strada comunale per Sedilis, … masegna … Cava in sponda sinistra del Torre. Lavori: comunissimo l’uso per muri ordinari e per gradini, stipiti, banchine ecc. … 108 – Colle Rumiz, Tarcento, … masegna, … Il deposito è a strati dello spessore da 20 a 25 centimetri. Si fanno stipiti, gradini, quadroni per lastricati e lastroni greggi per coperture di tombini ecc. ...”239.

Il Marinoni non parla espressamente di pietra vernadia, ma questa è individuabile come pietra arenaria associata alla presenza della pietra piasentina “Valle del tagliamento porzione mediana (dalla confluenza del fiume Fella allo sbocco di Pinzano nella pianura – Valli tributarie), … Montenars (Gemona): pietra da costruzione arenaria. … Bacino dell’Isonzo (Friuli Orientale), Valle del torrente Torre (affluente di destra del fiume Isonzo – e valli tributarie), Ciseriis (Tarcento), a M. Sammardenchia: pietra da costruzione arenaria, … Tarcento, nei Colli: pietra da costruzione arenaria. … Valle del Cornappo (affluente di sinistra del torrente Torre – Vallette tributarie), Nimis (Tarcento), in Val Montana: pietra da costruzione arenaria … Povoletto (Cividale), al Castello di Savorgnan del Torre: pietra da costruzione arenaria. … Valle del torrente Grivò (affluente di sinistra del torrente Malina), Faedis (Cividale), nel canale del Grivò: pietra da costruzione arenaria. … Valle del torrente Chiarò (affluente di sinistra del torrente Malina), Torreano (Cividale), a Canalutto (cave): pietra da costruzione arenaria, a Torreano (cave): pietra da costruzione arenaria. … Valle del Natisone (porzione inferiore da Cividale alla confluenza del torr. Torre), Manzano (Cividale), a Rosazzo nei colli: pietra da costruzione arenaria. … Valle del torrente Corno (affluente di destra del torrente Judrio), Corno di Rosazzo (Cividale), a Gramogliano: pietra da costruzione arenaria. … Vallette moreniche, Valle del torrente Ledra (affluente di sinistra del Tagliamento), nel colle di Buja: pietra da costruzione arenaria, … Artegna (Gemona), lungo il torrente Clama: pietra da costruzione arenaria”240.

Della pietra “masegna” di Artegna parla il Donghi241.

I portali di rilievo in città realizzati in pietra vernadia sono davvero pochi, ma bellissimi per il colore caldo della pietra e la sfaldatura di degrado a bordi arrotondati. Si tratta dei portali di via Villalta 39 (L1037), di casa Venzoni (via Grazzano 16, L0173), di via Grazzano 72 (L0274), di via Grazzano 132 (L0326), di via Deciani 54 (L1353), di via Giovanni da Udine 7 (L1530).





































233

Cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, pp. 26-27.








































234
Cfr.  V. Masutti (a cura di), Giovanni Battista della Porta, Memorie sulle antiche case di Udine, 1983-1988, pp. 56-58.

235
Cfr. V. Masutti (a cura di), Giovanni Battista della Porta, Memorie sulle antiche case di Udine, 1983-1988, p. 859.

236
“78. Pavimento in lastre da corso di pietra Vinadia (essa è stratificata: non regge alle intemperie, all’umido, …”; cfr. G. Falcioni, Analisi dei prezzi unitari di alcune tra le principali opere d’arte …, 1897, p. 39.

237
“22. Un metro lineare di lastre di pietra Vernadia dura per la copertura dei tombini …”, Cfr. G. B. Locatelli,  Progetto per la realizzazione di una ghiacciaia comunale per usi terapeutici da erigersi nel colle del Castello verso il Pubblico giardino e dietro la Pesa Pubblica, pezza D – Analisi dei prezzi unitari, 12 marzo 1856, presso l’Archivio di Stato di Udine, Archivio Comunale Austriaco II, Busta 77.





238
Località collinare a ovest di Tarcento.

239
Cfr. L. Pitacco, Descrizione delle pietre e dei marmi naturali che si impiegano nelle costruzioni in provincia di Udine, 1884, pp. 24-49.



























240

Cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, pp. 60-84.

241
Cfr. nota  228.
LA PIETRA D’ISTRIA

Insostituibile, e comunemente trascritta
242, è la descrizione della pietra d’Istria da parte di Vincenzo Scamozzi nell’Idea dell’Architettura Universale: “E perché le pietre siano meglio, e più distintamente conosciute fra esse nel lavorare divideremo le Histriane in tre specie; cioè bianche fine, e bianche cenerite, e bianche fumicate; come potrebbero fare gli agricoltori del grano di spica di campagna, o di monte, o finalmente di quello dei luoghi paludosi, che questi, e quelle, vengono a esser, e più bianchi, e più neruosi, e più bruni. Hora le pietre più fine, che perciò si chiamano della man bianca, sono assai dure, & anco gentili, e trattabili, in modo che nel lavorarle, e batterle di minuto con i martelli dentati si possono condurre ad ogni bellissimo finimento, oltre che si mantengono molto gagliardamente contra l’ingiurie de’ tempi. Quelle che sono di color bianco cinericio riescono alquanto più dure, e forti delle altre due forti, & anco di maggior nervo; e perciò riescono molto virilmente a reggere, e sopportare i gravi pesi,; ma vero è, che col tempo divengono più scurette delle altre. Poi le bianche infumicate sono men dure, e di manco nervo; e quindi è, che da’ capi mastri vengono lavorate più facilmente delle altre: ma hanno poi questa mala qualità, che sono meno resistenti contra l’ingiurie de’ tempi, e però sono più facilmente logorate, e guaste all’Aere salso, e da’ venti Australi: anche si aggiunge, che essendo esse alquanto porose; e però mentre, che stanno all’Aria divengono sempre più giallastre, onde fanno bruttissimo vedere nell’opere che elle sono. Ma di qualonque forte, che sieno le pietre Histriane, tuttavioa dicansi per ostrentazione,  quello che si vogliono altri, (che le hann o vedute, ne osservate,) che elle sono più assai nobili, e bianche, e fine del Travertino di Roma, e delle pietre di Napoli, e di Genova, e Fiorenza, & altre simili, perché tengono nel ruvido, e brunetto, e sono spugnose, o piene di caverve, & altri difetti, onde in ogni tratto è bisogno a maestri di instuccare, & incollare, e ratoppare le opere, così come si vede nella fabbrica di San Pietro in Roma, & al Giesù, e Coleggi in Piazza d’Altieri, & altrove, che non raccontiamo; e per l’opposito la facciata del Tempio della Beata Maria Vergine di Loreto, fatta di pietre Histriane, e lavorata da buoni maestri di Roma, e d’altre parti di gran lunga trapassa tutte le altre di Roma; essendo che le pietre bianche, e fine di queste cave hanno tutte queste eccellente qualità. Et all’incontro le pietre bianche, e fine dell’Histria sono tutte una pasta soda, e nervosa, ne si logorano ne gli orli; di modo che le opere si possono condurre a molta delicatezza, e perfettione, e la finezza loro è tale, che si lavorano tanto minutamente, e si raschiano, e si pomiciano, & anco si lustrano, quasi come il marmo. … Tutte le pietre che non sono salde, e di buon nervo non durano molto all’aria; e massimamente a’ Venti Sciroccali, di mezo giorno, e di Libeccio: essendo che per l’aspetto caldo, & humido: perilche si fi la corruttione, di tutte le cose, però sono in breve tempo corrose, e guaste, come si vede corrose le mura de’ mattoni, nella facciata di San Tomaso di Borgognoni, qui a Torzello, & in gran parte anco le pietre dure da Brioni, e le rosse di Cattaro, e particolarmente le erte della porta principale: &all’incontro le pietre da Lemme, e da Rovigno, per la loro natura forte, e salde, e parimenti le pietre rosse da Verona sono rimase, come  ilese fino a hoggidì da questi barbari venti: e tante altre, che noi non raccontamo: tanto prevale la bontà, e finezza della pietra contra alla varietà del tempo, e però se ne dee far grandissima stima”243.

Con la dizione pietra d’Istria si fa riferimento a una bianca roccia sedimentaria calcarea, a grana fine, del Cretaceo inferiore
244, cavata dai banchi presenti lungo la frastagliata costa tra Parenzo e Pola. Si tratta di una “formazione … continentale, almeno in buona parte” associata a un “complesso stratigrafico a calcari compatti”, derivante da “depositi … interessati da fenomeni di diagenesi, i quali hanno spesso portato al mascheramento totale e alla completa trasformazione dei minutissimi elementi organogeni e clastici d’origine”245.

Il materiale presenta una compattezza “perfetta, con le sue tipiche e misteriose fratture suturiformi, tenacissimamente cementate”
246: “la pietra d’Istria è spesso attraversata da sottili vene grigio-nere che, contrariamente a quanto sembrerebbe, non ne diminuiscono la resistenza perché sono costituite da materiale compatto. Più rare e pericolose, in quanto causa sovente di rottura, sono invece quelle rossastre costituite al contrario di materiale terroso e fragile”247.

Per quanto riguarda la posizione delle cave e le caratteristiche delle pietre cavate, il Rodolico presenta un chiaro quadro di riferimento: “Una decina di chilometri a nord di Parenzo … sono le grandiose cave di Cittanova: danno calcari bianchi da costruzione, che a volte si fendono in lasrte, calcarei porcellanacei, talora in banchi di oltre un metro di potenza, e altri ancora. … troviamo … altre cave nei pressi di Rovigno  (Punta Barbagia, Val Saline ecc.), ma soprattutto importa un lembo del cretacico inferiore che affiora soltanto qui, nel tratto di costa tra Parenzo e Orsera, e poi lungo il Canale di Leme, vero e proprio fiordo che si interna per quasi dieci chilometri. È questo il regno della pietra  di Orsera, una delle migliori di cui si sia potuta valere l’architettura italiana. La potenza degli strati varia da pochi centimetri ad oltre un metro, e varia spesso, dall’uno all’altro, la tonalità di colore… la struttura è tanto fine quanto compatta … Eccellenti le doti di resistenza di lavorabilità di scolpibilità, ottima la durevolezza, anche di fronte alla salsedine. Le cave più antiche sono vicine al mare, o addirittura prospicienti la costa; la più famosa è quella detta di Montracher, che s’apre ad anfiteatro sotto la collina su cui sorge Orsera. … Dai dintorni di Pola (Vincunale, Monte Salin, Pomer, Lignano, Medolino ecc.) e dalle isole Brioni, che fronteggiano la città, si scavano calcari compatti di colore ora bianco ora grigiastro ora gialliccio, qualche volta duri e lucidabili…, ma più frequentemente semiduri e anche teneri”
248.

Il suo uso, sin dal tempo dei Romani, favorito dalla posizione ottimale delle cave in prossimità del mare, interessa tutta la costa alto – adriatica. In Friuli la presenza è documentata ad Aquileia
249 romana, prima, e nei centri di maggiore importanza con lo stabilirsi nel primo Quattrocento del governo della Serenissima, padrona delle cave dalla fine del Duecento250, anche se andrebbe approfondito l’impiego di “spoglio”, che, dalla caduta di Aquileia per mano di Attila (anno 181) ha visto trasformare il grande porto fluviale in un’area di approvvigionamento continuo di materiale scultoreo e da costruzione251.

A Udine l’uso della pietra d’Istria per la realizzazione di portali dell’edilizia civile è limitato a pochi esempi: palazzo Bartolini (piazzetta Marconi 8, L1595_2), palazzo Susanna Caratti (piazzetta del Lionello 12, L0723), palazzo Daneluzzi Deciani Braida (via Aquileia 33, L0025), casa Spezzotti (via Prefettura 17A, L1823) e casa Pavona Asquini (via Manin 16, L1670), mentre importanti realizzazioni sacre, quali la chiesa di San Giacomo, la Cappella Manin, la chiesa di Sant’Antonio, l’Oratorio della Purità, hanno visto l’impiego in grande quantità di questo prezioso materiale.






































242
Cfr., p. e., M. della Costa, C. Feiffer, Le pietre nell’architettura veneta e di Venezia, 1981, pp. 84-88.











































243
Cfr. V. Scamozzi, L’Idea dell’Architettura Universale, Parte Seconda, Libro Settimo, Capo IX, 1615, pp. 204-205.

244
Cretaceo (140-65 milioni di anni fa): era geologica compresa tra il Giurassico (205-140 milioni di anni fa) e il Cenozoico (65-53 milioni di anni fa).

245
Cfr. C. D’Ambrosi, G. Sonzogno, La cava romana. Marmi e pietre del Carso e dell’Istria, 1962, p. 60.

246
Cfr. C. D’Ambrosi, G. Sonzogno, La cava romana. Marmi e pietre del Carso e dell’Istria, 1962, p. 61.

247
Cfr. M. della Costa, C. Feiffer, Le pietre nell’architettura veneta e di Venezia, 1981, p. 84.

248
Cfr. F. Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, 1958, pp. 188-189.

249
Cfr., p.e., D. dalla Barba Brusin, Elementi di architettura monumentale di Aquileia, 1955, p. 16.

250
Traccia fondamentale per lo studio della penisola istriana è la dettagliatissima guida: D. Alberti, Istria. Storia, arte, cultura, 1997.

251
Cfr., a riguardo, un’interessante nota relativa a un contratto, datato 1322,  di prestazione d’opera, a fronte dell’affitto di un fondo agricolo, comprensiva dell’asporto di materiale lapideo nell’area aquileiese: G. Perusini, Aquileia … cava di pietre, 1954.


















IL CALCARE FOSSILIFERO GRIGIO

“Le pietre, c’hanno dentro animali; o altre cose sono cosi fatte per cagione della materia rinchiusa la quale sia diversa dalla esteriore: onde cotta dal calore si divide, e separa, come i noccioli nelle noci, e mandorle: onde se è materia viseosa, e tenace genera pietra, se senza nervo si converte in terra, o creta: se l’humore è sottile vi resta dentro un liquore. Le lumache, o gongole, & i topini, e le lucerte, e simiglianti cose, si generano nei sassi dalla putrefazione della materia grassa, per via del caldo, e talhor vivono, come i sorci che si genegano di putrefattione, & alle volte si pietrificano, in forma di lumache sodette. I dattili ne’ sassi al Castello di Duino posto al mare Adriatico, dell’Illustrissimo Signore Conte Raimondo della Torre, e nel Veronese trovansi pietre, che sfese hanno dentro diverse forme d’animali, convertiti in sasso, altre infinite con impronto del cinque foglio, come abbiamo appresso di noi i fonghi, e legni convertiti in sasso”
252.

È davvero impossibile, in assenza di dettagliate analisi petrografiche o di riferimenti d’archivio certi, dare un nome alle località di provenienza del calcare con fossili visibili, con tonalità cromatiche comprese tra il bianco e il grigio, passando per il nocciola
253, con il quale sono stati realizzati alcuni dei portali più preziosi dell’edilizia sacra del Cinquecento, quali il portale di San Cristoforo e quello meridionale del Duomo, i portali di palazzo Filittini-Caimo (via Manin 4, L1665), di palazzo Sabbadini-del Torso (via Aquileia 17, L0032), della casa Veneziana (piazza XX Settembre 2, L0408), di palazzo Lovaria (via Zanon 18 interno, L0704_2), di palazzo Torriani (largo Carlo Melzi 2, L0947_2), di palazzo Andriotti (riva Bartolini 3, L1595_1), di palazzo Antonini-Belgrado (piazza Patriarcato 3, L1859).

Nei due casi razionalmente possibili, ossia di pietra del Carso o della pedemontana pordenonese, si tratta di una roccia sedimentaria, un calcare del cretaceo, ricco di fossili visibili anche ad occhio nudo, diverso nei due casi per le sfumature cromatiche, di difficile determinazione in assenza di campioni di confronto, e per le caratteristiche chimiche e fisico-meccaniche,  individuabili solo in laboratorio
254, che si è scelto, semplificando, di chiamare, appunto, "calcare fossilifero grigio".

Se numerosi sono i riferimenti d’archivio all’arrivo di pietre dalla zona carsica, per esempio per la realizzazione del palazzo comunale di Udine
255 - come ampiamente documentato è l’uso della pietra del Carso e delle aree limitrofe in Aquileia256 e per la costruzione della fortezza di Palmanova257 - le indicazioni relative all’uso della pietra di Travesio, a conoscenza di chi scrive, sono circoscritte al periodo rinascimentale e non avrebbero a oggi un riscontro documentario per Udine. Sono di grane interesse, in tal senso, i documenti relativi alla realizzazione del portale del Duomo di Tricesimo da parte di Bernardino da Bissone, nei quali è, invece, chiaramente indicata, in due documenti del 1502 e del 1505, la provenienza della pietra utilizzata da Travesio258.

In attesa di ulteriori approfondimenti, considerando che nell’edilizia civile non si hanno esempi vicini alla produzione del Bissone, fatta eccezione per il bellissimo portale rimosso della Chiesa di San Francesco
259, si è ritenuto opportuno limitare la trattazione all’area carsica, dalla quale si ritiene, per motivi storici, provenga il materiale utilizzato nei portali dell’edilizia civile, mentre quasi certo è l’uso della pietra di Travesio nelle opere dell’edilizia sacra del Rinascimento, quali il portale della Chiesa di San Cristoforo, realizzato dal Bissone nel 1518260.

L’area carsica vede l’affioramento, in direzione nord-est sud-ovest, di una sequenza stratigrafica sedimentaria che, parte dal Cretaceo per arrivare al Quaternario. Appartengono al periodo medio del Cretaceo
261 i calcari brecciati di Monrupino, che “avrebbero preso origine dall’abbattimento di scogliere e che sono costituiti dalla cementazione di tritume di resti fossiliferi …Da questa formazione si estraggono marmi di gran pregio quali il Repen e il Fior di Mare”; di un età più recente del Cretaceo è la “cosiddetta «serie del calcare superiore di Aurisina», ricco di brecciole calcaree (più o meno fossilifere a grana molto fine, di colore grigio chiaro …) e di calcari brecciati fossiliferi costituiti da frammenti più grossolani dei suddetti fossili… Questa serie – che si sviluppa lungo il margine sud-occidentale del Carso triestino – è importantissima in quanto fornisce i pregiati marmi di Aurisina tra cui l’Aurisina fiorita, l’Aurisina chiara, l’Aurisina granitello e il Roman Stone”262.

L’analisi visiva porta a suggerire l’uso dell’Aurisina Roman Stone per il portale di palazzo Lovaria (via Zanon 18 interno, L0704_2)
263.
Si tratta di “un calcare compatto la cui massa di fondo ha un colore grigio - chiaro, tendente debolmente al nocciola, su cui spicca una fittissima ed omogenea punteggiatura color grigio - nocciola più marcato, distribuita con grande omogeneità. La punteggiatura è determinata da un tritume di resti fossiliferi … ridotti a frammenti intorno al millimetro e, più raramente, attorno a pochi millimetri. …i frammenti tendono a disporsi con i loro allungamenti parallelamente ai letti di sedimentazione, sebbene ciò non sia sempre agevolmente osservabile a causa delle piccole dimensioni dei frammenti. La compattezza di questo marmo è veramente notevole; non si nota, infatti, la benché minima vacularità né la presenza di riempimenti di calcite di origine secondaria, a causa di una cementazione carbonatica veramente completa. Alla percussione presenta un caratteristico suono bronzeo molto marcato, come del resto molti marmi del Carso. Questa roccia può essere definita come un calcare brecciato di origine organogena”
264.

Per gli altri portali, invece, il materiale risulta approssimativamente individuato, a seconda delle dimensioni dei fossili presenti, nella gamma compresa tra l’Aurisina chiara e l’Aurisina fiorita. L’Aurisina chiara è “un calcare a tinta di fondo grigio – nocciola uniformemente diffusa su cui spicca una rada macchiatura più marcata, determinata da resti fossili sminuzzati … Ad un esame superficiale il marmo potrebbe sembrare simile al Roman Stone; da esso però si differenzia, fra l’altro, per … tinta di fondo leggermente più scura … frammenti fossiliferi di dimensione leggermente maggiore, ma di quantità inferiore … massa di fondo (sia microcristallina, sia formata da resti fossiliferi minutissimi) più abbondante. … L’Aurisina chiara è un materiale molto compatto, senza screpolature o tracce di riempimenti di calcite secondaria; può essere definita come un calcare brecciato di origine organogena”
265.
L’Aurisina fiorita, invece, è un calcare che presenta una diffusa tinta di fondo grigio - nocciola su cui spicca una notevole fioritura determinata da grossi e piccoli frammenti di resti fossili di organismi di scogliera, …La massa di fondo microcristallina costituisce la matrice sia di un tritume minutissimo di resti fossili, sia di frammenti fossili di maggiori dimensioni (intorno ai 5 – 8 cm) preferibilmente di colore marroncino, marroncino – grigiastro e talora bianco. I resti delle conchiglie che si presentano con fioriture molto allungate ed appiattite e leggermente ricurve, disponendosi con i loro allungamenti subparalleli, indicano molto chiaramente la giacitura dei piani sedimentari. … Forme caratteristiche dell’architettura dei gusci … sono … sovente messe in evidenza nei frantumi fossili di maggiori dimensioni. Il marmo è molto compatto, senza screpolature e senza vene calcitiche di oprigine secondaria. Questo materiale è classificabile come un calcare brecciato di origine organogena”
266.







































































































252
Cfr. V. Scamozzi, L’Idea dell’Architettura Universale, Parte Seconda, Libro Settimo, Capo IX, 1615, p. 206. Il riferimento al castello di Duino della famiglia della Torre, o Torriani, non è casuale: come visto, in relazione alle caratteristiche formali dei portali, sia il palazzo della Torre di Udine che quello di Gradisca mostrano l’impiego di un calcare grigio con fossili. Si configura, così, la possibilità di un approvvigionamento di materiale “di proprietà”, per ora solo un’ipotesi in attesa di oggettivi approfondimenti, oltre l’idea romantica che il castello, caro al poeta Rilke, suggerisce.

253
La pietra si presenta generalmente bianca, per la presenza di una patina dovuta al dilavamento meteorico, mentre mantiene il colore originario nelle parti non esposte, come verificabile nel confronto con eventuali stacchi recenti.

254
Cfr. G. B. Carulli, R. Onofri, Il Friuli. I marmi, 1966, p. 67.

255
Cfr. 210, ma, anche, parte del testo integrale in F. Rodolico, Le pietre delle città d’Italia, 1958, pp. 192-193.

256
Cfr. , p.e., D. dalla Barba Brusin, Elementi di architettura monumentale di Aquileia, 1955, pp. 4-8, ma, anche, L. Bertacchi, L’uso durante il periodo romano ad Aquileia in F. Cucchi, S. Gerdol (a cura di), I marmi del Carso triestino, 1985,  pp. 17-24.

257
“I Veneziani fecero confluire verso l’erigenda fortezza di Palmanova migliaia di carri pieni di pietra cavata dal colle di Medea, il cui trasporto è oggetto di frequenti attenzioni da parte dei rettori veneti della fortezza, nelle loro relazioni al Senato”; cfr. G. Ellero, Costruire in Friuli: dai sassi dei fiumi alla pietra piasentina, in D. Ceroni cadoresi, Torreano, il paese della pietra, 1987, p. 42. Pur trattandosi di un’area limitrofa a quella carsica, l’analisi visiva macroscopica mostra somiglianze evidenti tra le pietre impiegate nei portali di Gradisca, località prossima al colle di Medea, e di Palmanova.

258
Cfr. G. Bergamini, P. Goi, Bernardino da Bissone a Tricesimo, in A. Ciceri (a cura di), Tresésin, 1982, p. 354. Viene, altresì, indicato il riferimento al Pitacco, individuando le possibili cave nelle due segnalate in prossimità dell’abitato di Castelnuovo; cfr. L. Pitacco, Descrizione delle pietre e dei marmi naturali che si impiegano nelle costruzioni in provincia di Udine, 1884, pp. 28-29.

259
Il portale della Casa Veneziana (piazza XX Settembre 2, L0408), pur tradizionalmente attribuito al Bissone, non presenta, infatti, un’impostazione più rigorosa, priva dei caratteristici elementi decorativi dell’artista.

260
Il portale era stato segnalato tempo addietro a chi scrive come esempio di utilizzo della pietra proveniente dalla cava di Pradis di Clauzetto, a nord di Travesio, dal suo proprietario, signor Zannier. Ricerche successive hanno consolidato l’ipotesi, identificando il luogo d’origine della pietra di Travesio, usata durante il Rinascimento, con quello della cava. Il materiale, apprezzato per la compattezza e il colore caldo, tendente al crema, è stato utilizzato, in tempi recenti, dall'architetto Carlo Scarpa per la pavimentazione del Museo di Castelvecchio a Verona.

261
Cfr. G. B. Carulli, R. Onofri, I marmi del Carso, 1966, pp. 24-26, ma, anche, F. Cucchi, S. Gerdol, F. Ulcigrai, Geologia, in F. Cucchi, S. Gerdol (a cura di), I marmi del Carso triestino, 1985, pp. 91-107.

262
Cfr. G. B. Carulli, R. Onofri, I marmi del Carso, 1966, pp. 25-26.

263
Come dal sopralluogo effettuato in compagnia del signor Italo Bulfone.

264
Cfr. G. B. Carulli, R. Onofri, I marmi del Carso, 1966, p. 64.

265
Cfr. G. B. Carulli, R. Onofri, I marmi del Carso, 1966, p. 35.

266
Cfr. G. B. Carulli, R. Onofri, I marmi del Carso, 1966, p. 39. La pietra prende il nome dalla località Aurisina (o Nabresina, in sloveno), nel Carso triestino, a nord ovest della città.
























IL CALCARE BIANCO

Circa una decina di portali sono stati realizzati, tra il XV e il XIX secolo in pietra calcare bianca, non meglio definibile ad un primo esame macroscopico.
In assenza di indicazioni precise, l’unica possibilità di identificazione della zona di provenienza si basa sulla consultazione ragionata del catalogo dell’ing. Pitacco, che, al numero 115, fornisce l’indicazione di un calcare dolomitico, detto Sasso dei Rivoli, presente ai piedi del monte Amariana, tra Tolmezzo e Osoppo. Si tratta di “massi disgregati che si trovano nei Rivoli Bianchi, Rio Nero, Rio di confine, Rio Maggiore, e parecchi altri che discendono dalle falde del monte Amariana ed attraversano la strada. Si impiegano soltanto in murature ordinarie ed a greggio, riducendo a pezzi con il maglio ed anche a punta”
267.

La definizione dell’area di provenienza concorda ragionevolmente con quella suggerita durante un’attenta ispezione macroscopica
268 e ricorda la consuetudine di approvvigionamenti non legati alla presenza di veri e propri luoghi di estrazione, ma al ritrovamento di massi negli alvei o alle pendici delle montagne. Si tratta di una circostanza ragionevolmente comune, sfruttata soprattutto in loco, nei casi cittadini forse legata a scambi commerciali con l’area269.

Eccezion fatta per il portale cinquecentesco della casa della Confraternita sulla collina del Castello (L1659_5)
, i portali in calcare bianco sono di forme molto semplici, a bugne quasi sempre regolari, a supporto della tesi formulata. Si tratta degli 11 portali di via Villalta 8 (L0992), via Grazzano 50A (L0259), di via Zanon 11 (L0866), di via Gemona 20 (L1279), di casa di Prampero (vicolo degli Orti 1, L1100_2), di via Mazzini 12 (L0919), di via Zorutti 4 (L1090), di via Villalta 60 (L1014), di via Zorutti 35 (L1044), di via Grazzano 61 (L0353), di vicolo Cicogna 45 (L1320) e di casa Varmo-Pers-Pascolo (via Grazzano 74, L0275).

















267
L. Pitacco, Descrizione delle pietre e dei marmi naturali che si impiegano nelle costruzioni in provincia di Udine, 1884, pp. 46-47.

268
Il signor Italo Bulfone aveva parlato di “breccia di Venzone”, pietra in trovanti negli alvei torrentizi compresi tra Venzone e Stazione della Carnia.

269
La circostanza fa temere una incorretta individuazione del materiale.











LE ALTRE PIETRE

La pietra utilizzata in alcuni dei portali cittadini non è riconducibile a nessuna delle categorie di sopra definite.
Caso del tutto singolare è il portalino di casa Pignat (via Marinoni 33, L0939), in arenaria giallognola. La datazione dell’edificio si basa sulle forme caratteristiche delle aperture superiori, ad arco, riferibili al XVI secolo. Per colore, tipologia di degrado (a piccole scaglie), granulometria, la pietra sembra essere riconducibile alle arenarie calcareo - dolomitiche dell’area pedemontana pordenonese, utilizzate nella realizzazione del portale principale del Duomo, “di colore giallo chiaro sulla superficie fresca di rottura e patina di alterazione di colore da giallo bruno a bruno scuro, localmente anche nerastro e tessitura finemente arenitica, con granulometria media variabile tra 0.10 e 0.15 mm. Osservate in situ su superfici sufficientemente ampie, le rocce mostrano un accenno di stratificazione e variazioni gradate di granulometria”270.

Il portale di palazzo Polcenigo Garzolini Toppo Wassermann (via Gemona 92, L1397) è stato, invece, realizzato nella sua parte inferiore con un calcare a fondo grigio scuro con venature bianche diffuse, materiale di pregio, conosciuto con il nome di Grigio Carnia. “Si tratta di un calcare devonico che, come gli altri prodotti similari della zona, può essere a buon diritto definito marmoreo per la sua cristallinità. È un materiale molto compatto che non rivela tracce di stratificazione. Si presenta con una tinta di base di color grigio dotata di innumerevoli sfumature, solcata da una ragnatela, talora fitta, talora meno accentuata, di esilissime venuzze nere a pigmentazione carboniosa. Queste sono a vario decorso, di varia lunghezza, con spessori abbastanza costanti dell’ordine di qualche decimo di millimetro e si intersecano piuttosto irregolarmente. Localmente, talora confluiscono in zone a maggiore addensamento dando l’apparenza di un’unica grossa plaga di aspetto piuttosto allungato. L’insieme è interrotto da vene calcitiche bianche di spessore sui 2 o 3 mm e in certe zone la calcite dà luogo a vere proprie plaghe abbastanza bene sviluppate. La distribuzione di tutte queste plaghe è spazialmente omogenea, ma il loro decorso è irregolari”271.
Sono in Grigio Carnia le fasce a profilo convesso dei due portali della casa della Contadinanza (piazzale del Castello 3, L1659_1 e L1659_3), la fascia piana della Canonica del Carmine (via Aquileia 63, L0013), la fascia piana e i conci di base del portale di palazzo Muratti (via Zanon 2, L0649), i conci di base del portale laterale di palazzo Caiselli (vicolo Caiselli, L0912).

Di color rosa sono la fascia del portale in via Palladio 15 (L1262) e alcune bugne del portale di casa Malignani (piazza Libertà 2, L1611). Pietre di questo tipo si trovano nell’area del Gemonese (pietra di Sant’Agnese), nella zona della montagna pordenonese (area di Erto e Casso) e nel distretto di Verzegnis. Ritenendo plausibile la provenienza dall’area di più comune approvvigionamento di questo tipo di materiale, l’ultima indicata, dovrebbe trattarsi di un Rosso mandorlato, “calcare compatto di origine organogena del Giura superiore che ha subito una notevole ricristallizzazione. La tinta di base, determinata da prevalente pigmentazione ematitica, è di un colore marrone chiaro tendente al rossiccio … spiccano alcune macchie piuttosto rotondeggianti di colore rosso - bruno probabilmente riferibili a fossili più o meno stirati. Si può anche osservare qualche resto di Ammonite che però non risulta evidente ad un esame superficiale in quanto profondamente diagenizzato”272.

Restano due dubbi sul materiale utilizzato per il portale di accesso alla torre dell’Orologio (piazza Libertà 4A, L1651_3) e per la Porta Cornelia in Castello (L1653_2). Per quanto riguarda il primo portale, il materiale macroscopicamente individuato è un calcare nodulare color nocciola non meglio definito273, contrariamente a quanto riscontrabile per il portale gemello di piazza Libertà 4B (L1651_4), in pietra piasentina. Il fatto che il portale sia stato realizzato contemporaneamente alla costruzione della torre, come mostrano la corrispondenza del suo asse con questa e il non allineamento con l’antistante porticato - cosa che invece accade per il portale gemello - le proporzioni massicce, la presenza particolarissima di un unico elemento a costituire la soglia e la base dei piedritti, sono elementi che portano al pensiero del progettista della torre, Giovanni da Udine, nel dubbio di un suo intervento anche per il portale. Per quanto riguarda, invece, la Porta Cornelia, vista l’importanza dell’opera274, quasi scultorea, è plausibile l’utilizzo di una pietra non locale, oggi difficilmente individuabile alla vista, anche a causa della patina presente. In assenza di dati di approfondimento, siano essi di laboratorio o d’archivio, resta l’incertezza.

































270
Cfr. P. Spadea, Studio mineralogico e petrografico dei materiali lapidei e delle malte in Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia (a cura di), Duomo di Udine. Ricerca per il restauro del portale della Redenzione, 1995, p. 100; per l’individuazione dell’area di provenienza cfr. P. Spadea et al., Dolostones used in Middle Age in Friuli (Ne Italy), in Proceedings of the 8th International Congress on Deterioration and Conservation of Stone, pp. 155-157.

271
Cfr. G. B. Carulli, R. Onofri, Il Friuli. I marmi, 1966, p. 23. Non potendo individuare la cava di provenienza, si è fatto riferimento a una delle cave di Grigio Carnia, quella degli Stavoli Roner. Il Devoniano (395-345 milioni di anni fa) è l’era geologica compresa tra il Siluriano e il Carbonifero.

272
Cfr. G. B. Carulli, R. Onofri, Il Friuli. I marmi, 1966, p. 62. Non potendo individuare la cava di provenienza, si è fatto riferimento a una delle cave di Rosso Verzegnis, quella di Lavoreit Ross. Il Giura (205-140 milioni di anni fa) è l’era geologica compresa tra il Triassico e il Cretacico.

273
Secondo le indicazion fornite dal signor Italo Bulfone, si tratterebbe di una breccia dell’area prossima a Venzone.

274
Del progetto della porta, come riferito, parla l’architetto Giovanni Fontana nella famosa lettera (1517) al patrizio veneto Giorgio Cornaro, padre del Luogotenente Giacomo Cornaro, scritta in occasione della posa della prima pietra del ricostruendo Castello. Cfr. G. Bergamini, M. Buora, Il Castello di Udine, 1993, p. 64 e pp. 153-155.




































LE MALTE

Il montaggio dei portali cittadini vede l’utilizzo di sottilissimi giunti di malta interposti tra i conci.

Non essendo disponibili i dati di analisi di laboratorio sulla composizione di queste malte
275, in attesa di eventuali approfondimenti, il riferimento ovvio è alle ricette di cantiere.
Per quanto riguarda le malte come descritte nella composizione e nelle fasi di confezione dai manuali e dai trattati delle costruzioni, ampia è la bibliografia dedicata, cui si rimanda per gli approfondimenti del caso
276.

Di maggior interesse, invece, il richiamo alla composizione delle malte cittadine, così come trasmesse dagli atti ufficiali di cantiere, disponibili dalla metà dell’Ottocento, secondo le consuetudini proprie della zona di studio.




















275
Come noto “Per malta si intende un composto formato da: materiale lapideo fino + legante + acqua. A seconda del tipo di legante, le malte si classificano in: malte aeree (per le quali il fenomeno di presa e indurimento avviene esclusivamente in ambiente aerato) e malte idrauliche (per le quali il fenomeno di presa e indurimento avviene anche in totale assenza di aria). In effetti parlando di aria ci si riferisce esclusivamente ad uno dei suoi composti, l’anidride  carbonica”; cfr. B. de Sivo et al., Appunti di Architettura Tecnica, 1995, p. 56.

276
Insostituibile, a riguardo, per il preciso riferimento alle fonti, C. Arcolao,  Le ricette del restauro. Malte, intonaci, stucchi dal XV al XIX secolo, 1998. Per un inqua- dramento più generale, comprensivo dei procedimenti di realizzazione, cfr. il classico testo U. Menicali, I materiali dell’edilizia storica, 1992, pp. 126-177.


I COMPONENTI

L’area friulana ha offerto nel tempo e nei luoghi una grande varietà di fonti di approvvigionamento dei materiali base delle malte: le pietre calcaree, le sabbie e l’acqua dei fiumi.

In particolare la grande disponibilità di rocce calcaree ha permesso la confezione quasi sempre locale del legante
277, principalmente calce aerea, come notato dal Marinoni: “le vere cave … sono assai scarse di numero, poiché in tutta la pianura, come pure in molte delle valli, usasi raccogliere nel letto dei torrenti, o per la campagna dove abbondano, i ciottoli adatti alla fabbricazione della calce usuale. In alcune località poi del basso Friuli presso il mare, la pietra calcare per le fornaci viene anche importata dall’Istria, dalla Dalmazia e da altri punti più vicini del territorio austriaco, per cui non restano che da notare che pochi luoghi dove per la loro natural composizione le rocce calcaree e dolomitiche si prestano alla produzione di calce di speciale qualità, che compensi convenientemente le spese necessarie di estrazione”278. Viene quindi segnalata la presenza delle principali fornaci da calce della provincia279.

È interessante notare come scarso, se non assente, sia stato l’uso di calci idrauliche fino alla fine dell’Ottocento, come riferito ancora dal Marinoni: “Devesi principalmente alle ricerche fatte dal prof. T. Taramelli nel 1868 se si scopersero in paese calcari adatti alla preparazione di calci idrauliche e cementi; ed alla sua insistenza se presso alcuni proprietari di fornaci si poterono fare dei pratici tentativi a riguardo”280.

Sempre i fiumi sono stati la fonte di approvvigionamento preferenziale della sabbia, come indicato, p.e., nell’ Analisi dei prezzi unitari di alcune tra le principali opere d’arte con speciale riferimento alla Provincia del Friuli ad uso degli allievi del r. Istituto tecnico e della Scuola d’arti e mestieri, dei Periti, dei Capi mastri, ecc. redatta a Udine dall’ingegner Falcioni nel 1897 alla Sezione Seconda “Provviste di materiali per lavori da muratore (escluso il dazio urbano)”: “1. Sabbia viva del torrente Torre (peso specifico circa 1600) al metro cubo L. 2.80 … 4. Sabbia, sabbione, rena del Cormor L. 2.00”
281.
E sempre dai fiumi proveniva l’acqua dell’impasto, essendo, paradossalmente Udine, fino alla seconda metà dell’Ottocento, una città senz’acqua potabile nel paese delle acque
282.
































































































































































































277
“I leganti si classificano in: leganti aerei (calci aeree, gesso), leganti idraulici (calci idrauliche, agglomeranti cementizi, cementi)”; cfr. B. de Sivo et al., Appunti di Architettura Tecnica, 1995, p. 58 e 275. Non si farà riferimento agglomeranti cementizi, leganti idraulici a comportamento intermedio fra calci e cementi, che non trovano impiego nella pratica corrente delle murature, né al cemento, caratteristico di uno sviluppo industriale lontano dall’arte del costruire tradizionale (la produzione del cemento in regione data i primi anni del Novecento,  a Cividale del Friuli, legata al nome della famiglia Malignani. Osservava a riguardo il Marinoni: “Le marne compatte che possono utilizzarsi come materiale per cemento idraulico affiorano a Collalto, a Faedis, Canebola, Pedrosa, nei dintorni di Cividale e nel Collio, ma in nessun luogo se ne è attuata l’escavazione. Finalmente ancora accennerò come nei distretti di Maniago e di Spilimbergo si incontri la continuazione dello strato attivamente lavorato a Serravalle e riferibile all’eocene superiore. … Le esperienze finora tentate furono un po’ incerte, dovendosi trattare i materiali nelle fornaci comuni da calce a vecchio sistema, in cui non è possibile di ottenere una cottura che si compia in breve tempo e che sia uniforme. Si è sentito il bisogno di forni speciali, ma è solo da poco tempo che ne fu eretto qualcuno …”, cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, p. 37. per notizie dettagliate sullo sviluppo dello sfruttamento delle cave di marna nel Cividalese cfr. G. P. Molinari, La gjava de ponca, s.d.). Le calci aeree si ottengono dalla cottura di rocce calcaree ad una temperatura di circa 900°C, per scissione del  carbonato di calcio, costituente le rocce, in ossido di calcio e anidride carbonica. Nella sequenza seguita nella preparazione artigianale, l’ossido di calcio, denominato comunemente calce viva, si presenta in pezzi informi, le zolle che, per poter essere utilizzate, devono venire a contatto con acqua, della quale sono avide. Ancora vivo è il ricordo delle vasche di spegnimento della calce viva, in cui l’ossido di calcio durante la reazione di spegnimento produce un calore tale da determinare l’ebollizione dell’acqua. Dalla reazione deriva la cosiddetta calce spenta, o grassello di calce, pasta bianca, densa e untuosa al tatto, il cui uso richiede un periodo di stagionatura di almeno due settimane. Si parla di calce grassa con riferimento a un contenuto di ossido di calcio e magnesio nella roccia di origine superiore al 94% in peso e una resa (volume di grassello in mc ricavabile da ogni tonnellata di calce viva) in grassello almeno pari a 2.5 mc/t, di calce magra qualora i valori indicati non vengano superati. Cfr. B. de Sivo et al., Appunti di Architettura Tecnica, 1995, p. 58. Il gesso utilizzato nelle murature, principalmente come intonaco da interni, si ottiene per cottura a 130°C e successiva macinazione di una riccia sedimentaria, la sienite. La presenza del gesso, composto instabile che tende ad assorbire l’acqua dall’ambiente circostante, con conseguente aumento di volume, con effetto disgregante sui materiali al contorno, rende le malte che lo contengono inutilizzabili all’aperto. Le calci idrauliche naturali sono prodotte dalla cottura di calcari argillosi a una temperatura superiore ai  900°C.

278
Cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, pp. 33-34. Per quanto riguarda la bassa pianura friulana è bene ricordare l’enorme disponibilità di marmo tra le rovine di Aquileia, utilizzato in tutta l’area per secoli per la produzione di calce purissima; cfr. 251.

279
E, cioè, nella Valle del torrente But (a Ligosullo al rio Pit, a Treppo Carnico al rio Orteglas, a Piano d’Arta presso Arta Terme, a Dogna a Chiout di Pupe), nella Valle del Tagliamento (a Cedarchis), nella Valle del fiume Fella (a Moggio Udinese, al colle del Forte di Osoppo),  nella Valle del torrente Colvera (nei colli di Fanna di Maniago), nella Valle del Natisone (a Vernasso di S. Pietro al Natisone), nella Valle del torrente Corno (nei colli di Corno di Rosazzo), nella Valle del torrente Ledra (nel colle di Buja), nella Valle del torrente Cormor (a Pradis di Colloredo di Montealbano), nella Valletta del torrente Corno (a Maiano nelle località di Casasola, Deveacco, S. Tommaso), nella Valletta del torrente Ripudio (a S. Daniele del Friuli in località Bocca di Paludo, Cimano e al torrente Ripudio), nella pianura in destra Tagliamento (a S. Giorgio della Richinvelda, a Pordenone, a Bannia di Fiume, a Frattina di Pravisdomini, a Valvasone), nella pianura in sinistra Tagliamento (a Sedegliano in Località Rivis e Gradisca, a Cervignano in località Cavenzano). Cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, pp. 61-84.

280
Cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, p. 34. Alla non conoscenza delle calci idrauliche, la cui confezione, oltre alla disponibilità di rocce argillose, richiedeva cottura ad elevate temperature, suppliva l’utilizzo delle cosiddette cariche idrauliche, materiali contenenti “dei costituenti che si combinano con la calce alla temperatura ordinaria ed in presenza di acqua formando dei composti stabili ed insolubili che possiedono proprietà cementanti” (cfr. C. Guerra, Architettura tecnica, 1952, p. 55) e di idraulicità, tradizionalmente la pozzolana e la polvere di laterizio.

281
G. Falcioni, Analisi dei prezzi unitari di alcune tra le principali opere d’arte con speciale riferimento alla Provincia del Friuli ad uso degli allievi del r. Istituto tecnico e della Scuola d’arti e mestieri, dei Periti, dei Capi mastri, ecc., 1897, p. VIII. Il torrente Cormor nasce nelle colline di Buia, scorre a ovest di Udine, attraversa la pianura, sfocia nella laguna di Grado e Marano. Sempre dal signor Italo Bulfone l’indicazione della preferenza per la sabbia del Torre e del Tagliamento perché dilavate dalla componente gessosa presente nei torrenti di montagna, da raccogliersi, perché più pulita, al centro dell’alveo.

282
Cfr. F. Braidotti, L’acqua potabile a Udine, 1891; A. Tellini, Le acque sotterranee a Udine, 1898; A. De Cillia, E. Mirmina, Udine e il Torre, un rapporto vitale, in G.C. Menis (a cura di), Udin. Mil agn tal cûr dal Friûl, 1983; I. Zenarolla Pastore et al., Le rogge di Udine, patrimonio nascosto, 1993; A. Peressini, Note sui rifornimenti idrici a Udine, 1994.
I DOSAGGI

Due sono tipi di malta indicati nei capitolati di alcuni cantieri ottocenteschi cittadini: la “malta comune”, miscela di sabbia, calce e acqua, e il cosiddetto “cemento idraulico”, malta comune con aggiunta di pozzolana e laterizio polverizzato.

L’Analisi dei prezzi unitari di alcune tra le principali opere d’arte con speciale riferimento alla Provincia del Friuli ad uso degli allievi del r. Istituto tecnico e della Scuola d’arti e mestieri, dei Periti, dei Capi mastri, ecc., redatta a Udine dall’ingegner Giovanni Falcioni nel 1897 fornisce la composizione della “malta comune”: “18. Malta da muro comune. Per ogni metro cubo di malta da muro occorrono: a) sabbia ordinaria mc. 1; calce spenta mc. 0.33 …”,  corrispondente al rapporto sabbia : calce generalmente adottato e  pari a 3:1.

Per quanto riguarda il “cemento idraulico”, la sua composizione compare nell’Analisi dei prezzi unitarj per i lavori di costruzione di una ghiacciaja comunale per usi terapeutici da erigersi sul Colle del Castello verso il pubblico Giardino dietro la Pesa Pubblica, firmato in data 12 marzo 1856 dall’Ingegnere Municipale GBatta Locatelli
283: “13. Un metro cubo di muro di sassi lavorati a punta a cinque faccie ed a corsi regolari in cemento idraulico: met.3 1,40 di grossi sassi atti ad essere lavorati dal tagliapietra a £ 5,00 ….£ 7,00; Giornate 4 di tagliapietra per la riduzione a punta a £ 3. … £ 12,00; Cemento idraulico composto di parti 10 di calce, metà viva e metà spenta, 5 di sabbia, 5 di pozzolana e 7 di laterizi polverizzati a £ 58,00 al metro cubo, met.3 0,12 …£ 6,96; Giornata 1,00 di Muratore col manovale per la collocazione a £ 3,60 … £ 3,60; Spese accessorie e consumo attrezzi … £ 1.56; Deduci pel valore delle scaglie che si ricuperano atte ad essere impiegate nel muro cementizio … £ 1,60; Rimangono £ 29,52”, interessante per l’accoppiamento di calce viva e calce spenta nell'impasto.

Passando, poi, a quanto evidenziato con l’osservazione diretta dei manufatti, l’unica cosa rilevata con sicurezza è la presenza di laterizi macinati nell’impasto delle malte di connessione dei conci, a indicare un possibile dosaggio che affidava al solo laterizio l’aumentata idraulic
ità284 dell’impasto.

Le malte si presentano oggi spesso disgregate in corrispondenza del loro bordo più esterno, a formare vistose lacune, quando non rabberciate da stuccature di cemento invasive.














283
Archivio di Stato di Udine, Archivio Comunale Austriaco II, Busta 77.

284
Cfr. 280.



























 
I LATERIZI

Il montaggio dei portali richiedeva la realizzazione di una struttura di supporto retrostante realizzata generalmente in mattoni pieni, a salire in contemporanea con i conci, come indicato in più documenti d’archivio.

Così in una lettera di contabilità indirizzata da Lorenzo Prodolone al conte Giuseppe della Porta, in data 20 marzo 1685 si legge: “Messo in opera il porton di pietra con antilli o pilastri grandi in modoni, in tutto …. L. 46”
285, mentre in un rendiconto contabile dell’Archivio Caiselli, in data 27 maggio 1658, figurano, tra altre voci simili: “19- Per rotto parte del muro della porta della cosina e posta in opera la d.a. porta di pietra con pilastri di modon di dentro in tutto … L. 9. … 63)- Per haver messo in opera due portoni a bugni alla rustica con haver fatti li  suoi pilasti di modon dentro et li suoi volti sopra il tutto val …  L. 124”286.

Anche per quanto riguarda l’argilla per mattoni la regione offre un gran numero di aree di approvvigionamento
287, sfruttate intensamente sin dal periodo romano, soprattutto in prossimità dei corsi d’acqua, in zone ben servite dai collegamenti stradali288. Importante, poi, l’attività nel periodo rinascimentale, nel Settecento e in tutto l’Ottocento, in cui si realizza il passaggio da una produzione quasi artigianale a una prettamente industriale.














































































































285

Archivio di Stato di Udine, Archivio della Porta, Busta 24, documento trascritto in D. Visentini, Architettura civile a Udine nel 600 e 700, 1970, p. 167.

286
Archivio di Stato di Udine, Archivio Caiselli, Busta 91, documento trascritto in D. Visentini, Architettura civile a Udine nel 600 e 700, 1970, p. 147 e p.158.

287
Il Marinoni segnala le principali fornaci da laterizio nella Valle del Tagliamento (a Preone nella valle di Chiampone, a Enemonzo in località Fresiis e Fornas, a Villa Santina), nella Valle del torrente Degano (a Ravascletto presso il torrente Marasso), nella Valle del torrente But (a Chiout di Pupe in Val Dogna), nella pozione mediana della Valle del Tagliamento (a Fielis di Zuglio), nella Valle del torrente Chiarsò (a Paularo presso il rio Refosco, il rio Durone e in località Trelli, ad Arta in località Palla Coccolon e Lovea), nella Valle del fiume Fella (a Pontebba), nella Valle del torrente Colvera (nei colli di Fanna), nella Valle del fiume Livenza (a Pradego di Caneva), nella Valle del torrente Torre (a ponente dell’abitato di Tarcento e a Qualso), nella Valle del Natisone (a Vernasso di S. Pietro al Natisone), nella Valle del torrente Alberona (a Savogna in località Losaz, Sternizza, Penineè, Dus, Jellina, Tercimonte, Gabrovizza, a S. Pietro al Natisone in località Clenia), nella Valle del torrente Erbezzo (a S. Leonardo e in località Merso di sotto), nella Valle del fiume Natisone (a Purgesimo  e a Manzinello di Cividale),  nella Valle del torrente Corno (a Corno di Rosazzo), nella Valle del torrente Judrio (al monte Colarut di Drenchia), nella Valle del torrente ledra (nel colle di Buja, ad Artegna in località Muris di Clama), nella Valle del torrente Soima (nei colli di Collalto della Soima), nella Valle del torrente Cormor (a Zegliacco di Treppo Grande, a Pradis di Colloredi di Montealbano), nella Valle del torrente Lini (alla Nuova Olanda di Fagagna), nella Valle del torrente Corno (a Majano nelle località Casasola, Deveacco, S. Tommaso), nella Valletta del torrente Ripudio ( a S. Daniele del Friuli in località Bocca di Paludo, Cimano e lungo il torrente Ripudio), nella pianura sulla destra del fiume Tagliamento (a S. Giorgio della Richinvelda, a Pordenone, a Rivarotta di Pasiano, a Pravisdomini e a Valvasone di S. Vito al Tagliamento), nella pianura sulla sinistra del fiume Tagliamento (a Rivis e Gradisca di Sedegliano, a Rivolto in località Patocchi di Passeriano e S. Martino, a Sterpo di Bertiolo, a Conzade di Rivignano, a Fraforeano, a Precenicco, a Palazzolo dello Stella, nei dintorni di Udine, a Cerneglons di Remanzacco, a Jalmicco di Palmanova, a S. Giorgio di Nogaro, a Cavenzano di Cervignano). Cfr. C. Marinoni, Sui minerali del Friuli, 1881, pp. 61-84.
 

288

Per la storia dei manufatti laterizi in Friuli si veda M. Buora, T. Ribezzi (a cura di), Fornaci e fornaciai in Friuli, 1987, catalogo della mostra tenutasi a Udine. Per quanto attiene la lavorazione dell’argilla per la fattura di vasellame di pregio, nota fin dal periodo romano, scriveva il giureconsulto Giovanni Candido, nei suoi Commentarii de fatti di Aquileia (1544): “Trovansi eziandio per vasi di creta, specialmente in Udine, di tanta sottiltà e saldezza che se ne fanno i maestri da vasi famosi, come si ha in Plinio. Tengono cotal Arezzo in Italia, in Calico Surrento, Asta Polenzia. In Spagna Sagonto, et in Tralli città, et in Udine in Italia, perché son di tal guisa nobilitati i popoli, sendo portati i vasi a diversi paesi; quantunque ora per dapocaggine degli abitatori tanta degna opera è venuta meno, come che commendinno gli uomini stranieri cotal industria di comporre vasi”; cfr. Altobelli et al., I marmi del Friuli, 1966, p. 10. Per il passaggio dalla fase artigianale a quella industriale, cfr., invece, V. Piccinno, Luoghi, architetture e imprenditori.Fornaci a fuoco continuo, 2001. 
GLI ELEMENTI METALLICI

La presenza di elementi metallici visibili è piuttosto rara, né sono state trovate durante la presente ricerca tracce o indicazioni scritte sull’uso di elementi di collegamento alla muratura e tra i blocchi nelle parti nascoste del manufatto289.
Per quanto riguarda gli elementi in ferro, essi si presentano in forma di zanche di collegamento e lastre a spessoramento dei conci.

Le zanche, unite alla pietra con colate di piombo, all’interno di incavi opportunamente sagomati, sono in genere presenti in corrispondenza delle sporgenze dei balconi superiori, non visibili dal fronte strada e, ovviamente, quali elementi di sutura di spaccature intervenute durante la vita del portale. Si tratta di elementi esposti alle intemperie, ma anche alla ventilazione naturale continua e che, pertanto, non presentano tracce di ruggine o deterioramento.

Molto ammalorati sono invece gli spezzoni di lamina di ferro inseriti talvolta tra i conci per garantirne il corretto posizionamento. Attaccati dalla ruggine in profondità, rigonfi e sfaldati, probabilmente aggiunte successiva alla posa in opera, in presenza di cedimenti di fondazione, essi rappresentano degli elementi di danneggiamento delle pietre.

Sono presenti, inoltre, elementi metallici accessori, i cardini dei portoni, talora fissati alla muratura retrostante il portale, in diretto contatto con un blocchetto di pietra sottostante al fine di ripartire il carico notevole a una porzione consistente di mattoni. In altri casi i cardini sono stati solidarizzati al manufatto all’atto del montaggio dei conci, inseriti per la parte terminale nello spessore dei giunti. Spesso fortemente danneggiati dall’azione della ruggine, soprattutto se vicini al terreno, sono stati successivamente sostituiti da cardini fissati alla muratura retrostante.
È possibile trovarne traccia ispezionando con attenzione i giunti più bassi dei conci del portale.

Nonostante l’osservazione attenta, non è stato possibile individuare la presenza di fogli di piombo di ripartizione dei carichi tra i conci, come inizialmente presunto, in similitudine alle tecniche di posa in opera di altri elementi architettonici in pietra, quali le colonne290.


dettagli: palazzo Daneluzzi-Deciani-Braida, via Aquileia 33, Udine














289
Ciò non esclude, però, la presenza di elementi posti in opera al momento del montaggio tra i conci e la muratura, come indicato dal signor Italo Zannier nel caso di stipiti e architravi di finestre addossati a murature di dimensione ridotta.

290
In particolare la presenza di fogli di piombo di separazione tra base e colonna risulta evidente nella Loggia di San Giovanni. Il peso delle arcate sorrette ha, infatti, nel tempo, spianato i fogli interposti, facendone sporgere i bordi dal profilo delle colonne, a costituire un curioso ornamento ondulato al di sopra delle basi.